Passa ai contenuti principali

“Jiro Dreams of Sushi” (documentario) di David Gelb

Jiro Dreams of Sushi

“Tra i corridoi che si diramano nella stazione della metropolitana di Ginza, percorsa dai suoi indaffarati e frenetici passeggeri, nella nipponica Tokyo, si trova un piccolo ristorante. Appartiene a un uomo, vicino alla fine del suo viaggio terreno. Non si tratta di un uomo qualsiasi bensì di uno shokunin, un artigiano dalle capacità straordinarie che ha dedicato la sua vita a compiacere un popolo, attraverso la sua arte. Cinque sono le qualità che racchiude in sé, la seria dedizione al lavoro, la continua ricerca della perfezione, la pulizia, il temperamento impaziente e un animo appassionato. Ogni giorno vive gli stessi luoghi, ripete le stesse azioni… ma la sera nei suoi sogni, la sua arte torna a fargli visita: Jiro Dreams of Sushi.”

È con queste parole che Flavia Monaldi apre il suo trafiletto su questo documentario e il suo protagonista, Jiro Ono (27 ottobre 1925), l’ultraottantenne titolare dello Sukiyabashi Jiro (すきやばし次郎), il primo ristorante di sushi capace di ottenere nel 2008 la certificazione delle tre stelle sulla guida Michelin.

Titolo: Jiro Dreams of Sushi
Regia: David Gelb
Genere: Documentario
Anno: 11 Giugno 2011
Durata: 81 minuti
Lingua: Giapponese
Sottotitoli: Inglese, Spagnolo

Proprio qualche giorno fa ho rivisto questa pellicola, uscita per il pubblico americano nel 2011, diretta da David Gelb, che ha saputo inaspettatamente raccontare l’avvincente passione e la visione del mondo di un uomo, o forse di una nazione intera che nel sushi ha uno dei sui portabandiera per antonomasia: il Giappone.

Jiro Ono, che dopo settant’anni passati a cucinare non vuole ancora smettere, è il sushi master più celebrato di Tokyo, incarnazione vivente di una tradizione culinaria che pensa il cibo come etica del lavoro, filosofia di vita e ricerca di perfezione. Pulizia, purezza, gesto e forma: ogni pezzo di sushi posato sul bancone del ristorante è un’effimera opera d’arte, da gustare con gli occhi, le dita, la bocca e… lo spirito. Accanto a lui, nel minuscolo ristorante situato nei sotterranei di un palazzo accanto alla Stazione di Ginza (銀座駅 Ginza-eki) nel quartiere speciale Chūō (中央区 Chūō-ku) di Tōkyō (東京), il suo primogenito Yoshikazu Ono, “relegato” a vivere all’ombra della severa figura paterna. È lui il successore prescelto, colui che proseguirà la traduzione di famiglia, rinunciando un po’ a malincuore alla proprie passioni per le auto e la velocità, destinato e rassegnato a sognare, notte dopo notte, il medesimo sogno paterno. E poi il figlio minore che ha scelto di aprire un ristorante tutto suo in quel di Roppongi Hills (六本木ヒルズ Roppongi Hiruzu), che ricalca tuttavia quello del padre, replicando in tutto e per tutto stile, disposizione, arredi e ovviamente proposte gastronomiche, quasi non riuscisse a staccarsi del tutto da suo passato. Questo e molto altro ancora in un’ora e mezza scarsa che calamita l’attenzione dello spettatore immergendolo in un logo e un tempo che probabilmente altrove non si potrebbe trovare.


Amanti o no della cucina e della cultura nipponica, questa è un’opera che consiglio a tutti di vedere. Forse un po’ lenta, forse un po’ sbrigativa in alcuni passaggi che avrebbero sicuramente meritato maggior attenzione (penso al mercato ittico di Tsukiji), ma sicuramente un cartolina da un luogo quanto mai in questo caso lontano, dal nostro modo di pensare, di vivere e anche… di mangiare sushi.

Per cui volesse “provare”, di seguito le informazioni utili per raggiungere i due locali:

Indirizzo: Tsukamoto Sogyo Building, Seminterrato 1° Piano, 2-15, Ginza 4-chome, Chuo-ku, Tokyo, Japan (Mappa)
Telefono: 03-3535-3600 (+81-3-3535-3600 dall’estero)
Orario di apertura: pranzo 11:30-14:00 / cena 17:30-20:30 / chiuso domenica, giorni festivi, sabato sera, a metà agosto e durante le vacanze di fine anno

Indirizzo: Roppongi Hills, 3° Piano, Locale “259”, Minato, Tokyo, Japan (Mappa)
Telefono: 03-5413-6626
Orario di apertura: pranzo 11:30-14:00 / cena 17:00-21:00 / chiuso il mercoledì

Commenti

Post popolari in questo blog

Via del Porce al Trapezio di Tessari

Finito da poco il corso di Alpinismo del CAI di Verona , abbiamo cercato subito di mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti e quindi, fra le tante proposte che ci hanno consigliato, nel pomeriggio siamo partiti alla volta del Monte Cimo, in particolare verso la parete di Tessari, meglio nota come il Trapezio . Caratterizzata da roccia solita ed eccezionalmente ricca di appigli, questa bella falesia ci è sembrata subito il terreno adatto per metterci alla prova, la scelta perfetta per iniziare a muovere i primi passi da capocordata. Parcheggiato a Tessari, salita la strada sterrata sulla sinistra e superati i campi coltivati, qui è iniziata subito la nostra disavventura, se così la possiamo definire, poiché abbiamo saltato l’ometto che indicava sulla destra il sentiero di accesso alla parte, salendo invece fino alla via d’uscita della nostra via. Archiviata questa parentesi di trekking sotto il cocente sole ci siamo avvicinati alla base della parte cercando la via “Cappucc

Via Cappuccio del Fungo al Trapezio di Tessari

Poiché la volta scorsa mi era rimasta ancora troppa voglia di salire il bel calcare di Tessari, sono riuscito a mettere insieme qualche amico e partire ancora una volta in direzione di Rivoli Veronese, verso quella parte di Monte Cimo nota come il Trapezio . L’avvicinamento questa volta non è stato un problema e nemmeno trovare l’attacco, due vie dopo quella del Porce, con un chiodo e poco sopra un cordino in clessidra: la via “Cappuccio del Fungo” (E. Cipriani & F. De Renso) era proprio lì ad aspettarci. Questo itinerario salito per la prima volta nel 1982, è stato il primo ad essere aperto sulla parete ed è uno dei più raccomandabili per la roccia, di eccezionale qualità e ricchezza di appigli, e per la conseguente bella arrampicata che offre. Filata la corda e sistemato tutto il materiale, compresi cordini e rinvii per le numero clessidre, siamo partiti in due cordate per la nostra ascesa. Anche questa volta, rispetto a quanto indicato nella relazione, in soli quattro

“Haiku” di Leonardo Vittorio Arena

L’Haiku è un genere poetico giapponese composto di diciassette sillabe che possono essere distribuite in tre gruppi, rispettivamente di cinque, sette e cinque sillabe. Questo genere è passato anche nelle letterature occidentali del secolo XX, dove, per la sua estrema sintesi metrica e concettuale, ha lasciato traccia nell’ermetismo… [Tratto da “Enciclopedia europea Garzanti”] Guizza la trota, sul fondale scorrono le nuvole. Titolo: Haiku Autore: Leonardo Vittorio Arena Casa Editrice: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli Anno: maggio 1995 ISBN: 978-88-17-125-307 Pagine: 108 Prezzo: 5,00 € circa Come riportato da Wikipedia.it , l’ haiku (俳句) è un componimento poetico nato in Giappone, composto da tre versi per complessive diciassette sillabe. Inizialmente indicato con il termine hokku (発句, “prima poesia”), deve il suo nome attuale allo scrittore Giapponese Masaoka Shiki , il quale definì haiku le poesie di tre versi alla fine del XIX secolo. Il genere haiku