Ciao a tutti, da quanto non ci si sentiva, vero? Sono passati poco più di tre mesi dal nostro rientro, ma nella mente è ancora forte il ricordo di questo splendido viaggio. Quante emozioni, quanti ricordi: un’esperienza travolgente che consiglio davvero a tutti di provare. Il Giappone è un Paese che deve essere visitato di persona, troppo lontano dal nostro schema mentale, troppo diverso dal nostro modo di concepire il ritmo delle giornate, dello scorrere del tempo. Un luogo che va indagato e scoperto con i propri occhi perché ogni viuzza, ogni “dietro l’angolo” dalla grande città al piccolo paese nasconde una sorpresa, un mistero, un’avventura. E davvero tanti sono i luoghi che abbiamo visitato in questi quindici giorni, ma nemmeno tutti quelli che speravamo di scoprire. Quanti posti lasciati indietro, quanto ancora da vedere, quanto (troppo) ancora da fare. Eppure è stato bello anche così, perché ci sarà sicuramente modo e tempo per tornare e completare quello che abbiamo iniziato, provare il piacere di scovare quello che ancora non conosciamo, o più semplicemente il ricordo di una terra dei sogni, meta di ogni viaggiatore errante alla ricerca della pace, nell’infinito caos ordinato del Giappone.
Benché la sera prima fossimo andati a letto tardi, ci siamo alzati di buon’ora, le 5 credo. L’emozione ci aveva fatto un brutto scherzo, ma non contava: da lì a poco saremmo partiti per il nostro primo viaggio in Giappone, quell’avventura tanto attesa e a lungo progettata. Arrivati all’aeroporto Valerio Catullo di Villafranca di Verona, dopo aver sbrigato le formalità d’imbarco (ricordatevi che il materiale “informatico” quale computer, fotocamere, lettori mp3, va separato dal resto del bagaglio a mano), abbiamo rapidamente guadagnato un posto nella sala d’attesa. Il tempo sembrava non trascorrere mai, ma quando hanno chiamato il nostro volo per Parigi, poco prima delle 8, l’adrenalina è schizzata per il corpo. Nella mente un solo pensiero: “Giappone arrivo!”.
Un’oretta di volo ed eccoci all’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi. Grazie alle indicazioni dettagliate fornite sia dalle hostess di terra sia disponibili sul sito della Air France, siamo rapidamente passati dal terminal 2G al terminal 2F, dove ci attendeva il nostro Airbus A340 che ci avrebbe portati a Narita. Puntuali alle 11:50 abbiamo abbandonato il suolo francese con destinazione Giappone. Le troppe ore di volo sono fortunosamente trascorse veloci, tra qualche film, cena e colazione, un sofferto sonnellino grazie anche alla mitica “pillola” per dormire. Unico neo del volo la nostra posizione troppo vicina al bagno con conseguente continuo via vai di persone e rumore dello sciacquone: ma anche questo era nulla pur di raggiungere la terra promessa!
Dopo l’annuncio abbiamo sbirciato fuori dal finestrino e l’abbiamo visto: Giappone! Quale emozione atterrare a Narita (成田市), peccato solo che fossero le 6:50 di mattina e che l’aereo impiegò 20 minuti per raggiungere il punto di attracco dal lato opposto dell’Aeroporto Internazionale di Tokyo. Sbarcati ci siamo immediatamente diretti all’ufficio immigrazione dove, consegnate le carte che avevamo scrupolosamente compilato sull’aereo, ci hanno prelevato le impronte digitali e scattato la foto identificativa. Sbrigate rapidamente queste formalità abbiamo recuperato i bagagli e ci siamo incamminati verso la dogana. Superato indenne anche questo ultimo ostacolo (ovviamente ci hanno rovistato nelle valigie), con il magico timbretto sul passaporto, abbiamo finalmente e ufficialmente messo piede sul suolo giapponese.
Come da programma, dove aver chiesto indicazioni ad una poliziotto, siamo andati alla ricerca del Ticket Office della Japan Railways dove abbiamo cambiato e convalidati i nostri JR Pass e contemporaneamente prenotato i posti sul Narita Express. In un’oretta il super tecnologico e silenziosissimo treno ci ha condotti da Narita a Tokyo, attraversando la splendida periferia della città, immersi tra sconfinati campi di riso e case dai tetti blu. Quanti uomini al lavoro curvi a raccogliere il riso, quante auto ferme ai passaggi a livello, quanti campi di baseball lungo gli argini dei fiumi: tutte cose viste negli anime, che incredibilmente diventavano realtà, materializzandosi davanti ai nostri occhi. E poi tutto d’un tratto ci ritroviamo gettati nella sfrenata tecnologia fra grattacieli, cemento armato e acciaio. La voce all’altoparlante annuncia la prossima fermata, la nostra: “Shinjuku! Shinjuku desu!”. Evviva, siamo a destinazione!
Troppo velocemente arriviamo nell’immensa stazione di Shinjuku. Nonostante fosse domenica mattina, siamo stati letteralmente sommersi da una marea di persone che in sacro silenzio e con spiazzante ordine si muovevano attorno a noi, attraverso i corridoi e le sale di quell’enorme struttura. Con un po’ di fortuna, grazie alla cartina che ci eravamo preparati e soprattutto alle numerose indicazioni disponibili in lingua inglese, dopo soli 5 minuti abbiamo facilmente raggiunto il Kadoya Hotel, la struttura che ci avrebbe ospitato per tutta la durata del nostro soggiorno a Tokyo.
Benché intontiti dal jet lag e ancora sbigottiti dal nostro primo impatto con la realtà giapponese, abbiamo immediatamente iniziato ad esplorare il quartiere di Shinjuku (新宿区, Shinjuku-ku). La nostra prima meta è stata il Palazzo Governativo (东京都庁舎, Tōkyō-to Chōsha) ove, una volta saliti al 45° piano della torre di destra, abbiamo goduto dello splendido panorama della città. Ovunque posassimo l’occhio, attorno a noi vi erano palazzi, case, giardini fino all’orizzonte e oltre. Scattate le foto di rito ci siamo messi alla ricerca di cibo, dopo tutto era dalle 4 del mattino che non mangiavamo nulla. Abbiamo quindi fatto conoscenza con le ticket machine del nostro primo ristorante nei pressi della stazione. Con la pancia piena e piacevolmente sorpresi dalla bontà di un semplice ramen, abbiamo passato il resto del pomeriggio a gironzolare per le vie di Kabukicho (歌舞伎町), il più grande centro dell’entertainment di Shinjuku. Trascinati attraverso i ristoranti, i teatri, i cinema, i karaoke e le sale giochi di pachinko (パチンコ), ubriachi e inebriati dai colori, dai suoni e dall’energia vitale che trasudava dalla città di Tokyo, siamo arrivati all’ora di cena. Non ricordo minimamente cosa abbiamo trangugiato, ma subito dopo siamo volati a letto, stanchi morti per via del fuso orario ma anche per le mille forti emozioni che ci erano piovute addosso in quella prima indimenticabile giornata.
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