Oramai si stava avvicinando l’ora del nostro rientro in Italia, tuttavia avevamo in programma di visitare ancora molte altre cose e quel giovedì non era certo da meno. Come da prenotazione fatta il giorno prima presso gli uffici della JR, abbiamo preso uno Shinkansen che nel giro di poche ore ci avrebbe portato alla stazione di Hiroshima. Avremo quindi dedicato la giornata a visitare la città tristemente nota per la bomba atomica e l’adiacente isola-tempio di Miyajima.
Una volta scesi dal treno ci siamo immediatamente diretti al primo centro informazioni dove una simpatica signorina, consegnandoci un piccolo foglietto, ci ha spiegato orari e numero del treno locale che ci avrebbe portato dalla stazione centrale a quella di Miyajimaguchi (宮島口). Lì avremmo preso il traghetto che in un quarto d’ora ci avrebbe fatto sbarcare sull’isola. Tutto questo naturalmente compreso nel pass della JR e che vi consiglio quindi di sfruttare.
Simbolo di Miyajima (宮島町, Miyajima-chō), gioiello della costa Sanyo, è il torii (porta scintoista) rosso fuoco che svetta dal mare a sottolineare la sacralità dell’intera isola. A Miyajima non ci sono reparti maternità né cimiteri, poiché a nessuno è permesso nascervi o morirvi. È inoltre proibito abbattere alberi e per questo l’isola è ricoperta da una verde foresta vergine che ospita numerose varietà di uccelli e molti daini in libertà. Una volta sbarcati, mischiandosi al flusso dei turisti, si arriva velocemente all’ingresso della zona del tempio. Già da lontano si può notare su una collinetta affacciata sul santuario la Goju-no-to, una pagoda a cinque ordini del 1407, e lì accanto si trova il Senjokaku, “padiglione dei mille tatami”, costruito del 1587. Proseguendo lungo la costa si giunge rapidamente all’ingresso del Santuario Itsukushima, costruito nel 593 su palafitte all’interno di una baia. Visto il poco tempo non siamo riusciti a visitare la struttura, rapiti anche dello splendido spettacolo offerto dal grande torii galleggiante che costituisce l’ingresso sul mare del santuario. Considerato dai giapponesi una delle tre vedute (Nihon Sankei) più belle del Giappone, insieme alla striscia di sabbia di Amanohashidate e alla baia di Matsushima, il torii del Santuario Ituskushima sembra galleggiare sull’acqua. Taira no Kiyomori, che finanziò il santuario, costruì il torii nel XII secolo, ma la costruzione odierna risale al 1875 e misura circa 16 metri di altezza. La struttura a quattro gambe (yo-tsuashi), che ne garantisce stabilità, è raggiungibile a piedi nei momenti di bassa marea. Scattate le innumerevoli foto e accarezzato qualche daino che stancamente brucava la poca erba disponibile ci siamo fermati ad ammirare lo splendido panorama offerto ai nostri occhi dalle pendici del Monte Misen (弥山), che fanno da sfondo al santuario e dove sorge il Parco Momijidani (紅葉谷公園, Momijidani-Kōen, valle degli aceri).
La visita all’isola avrebbe meritato di soggiornare almeno un giorno intero, dormendo magari in uno degli innumerevoli ryokan che sorgono accanto al porto, ma a malincuore siamo ritornati sui nostri passi alla volta del traghetto che ci avrebbe riaccompagnato nella città di Hiroshima. Rientrati alla stazione di Miyajimaguchi, prima di riprendere la nostra escursione, però, ci siamo fermati in un piccolo ristorante accanto al porto dove abbiamo potuto gustare dell’ottimo tempura di pesce, che ancora oggi non riesco a dimenticare.
Purtroppo Hiroshima (広島市, Hiroshima-shi) non ha bisogno di presentazioni, essendo tristemente nota in tutto il mondo: ogni anno milioni di turisti visitano la città in cui un’esplosione apocalittica annientò in un istante migliaia di persone. Dalla stazione centrale con il tram si può velocemente raggiungere il Parco della Pace (広島平和記念公園, Hiroshima heiwa kinen kōen), situato alla confluenza dei fiumi Ota e Motoyasu. Subito fuori dal parco, si erge la Cupola della bomba A anche noto come Atomic Bomb Dome (原爆ドーム, Genbaku Dōmu), segno inquietante della forza distruttiva scatenata sulla città: l’allora Palazzo della Promozione Industriale sorgeva vicino al punto dove esplose la bomba. Le persone dentro l’edificio morirono all’istante. Le travi contorte, gli squarci e i cumuli di macerie sono stati lasciati immutati e dichiarati patrimonio mondiale dell’UNESCO. Snobbando un po’ la Campana della Pace posta all’ingresso nord del parco abbiamo preferito raggiungere il vicino ipocentro dove 580 metri sopra le nostre teste il 6 Agosto 1945 esplose la bomba B-29. Rientrati all’interno del parco abbiamo raggiunto il Monumento dei Bambini alla Pace (原爆の子の像, Genbaku no Ko no Zō), che rappresenta una bambina con le mani protese verso una enorme gru, simbolo di longevità e felicità, che vola sopra di lei. L’opera si riferisce alla storia di una bambina (Sasaki Sadako, 佐々木禎子) vittima della leucemia causata dell’esplosione della bomba che credeva di poter guarire se avesse fatto 1000 gru di carta. La bambina non sopravvisse, ma la sua storia è conosciuta in tutto il Giappone e il monumento è sempre ornato di nuove gru portate dagli scolari di tutto il Paese. Qui ci siamo affiancati ad alcuni scolari che formando un grande cerchio attorno al monumento si erano fermati a recitare una preghiera: tutti assieme abbiamo osservato un minuto di silenzio concluso da un fragoroso applauso, quasi a richiamare la vita tutta attorno a noi. Dall’altra parte della strada si trova la Fiamma della Pace, che verrà spenta solo quando saranno eliminate dalla terra tutte le armi nucleari. Lì accanto, al termine di una lunga piscina rettangolare, si erge il Cenotafio per le vittime della bomba, disegnato da Tange Kenzo, che contiene i nomi di tutti i morti, assieme ad una iscrizione che recita: “Che tutte le anime restino qui in pace affinché non si ripeta questo malvagio”, che dovrebbe suonare più o meno come: “Riposate in pace, non ripeteremo mai più questo errore.”
Proseguendo verso sud si giunge infine al fulcro del parco, il Museo della Pace (広島平和記念資料館, Hiroshima Heiwa Kiehi Ryōkan), che illustra in maniera incisiva le conseguenze della bomba sulla città con l’aiuto di foto, video e di effetti personali delle vittime, trovati tra le macerie o donate dai familiari, tra cui un Buddha mezzo fuso, un triciclo deformato e il segno di un’ombra scura sui gradini in granito dell’edificio della banca Sumitomo, tutto ciò che resta di qualcuno che in quel momento era seduto lì. Pagando una cifra davvero irrisoria, 50 yen, si può accedere alla struttura, fotografando e toccando quasi tutto con mano, ma che non riesco certamente a descrivere qui per voi: l’invito è davvero quello di visitare il museo, almeno una volta nella vita.
Fuori dal museo, infine, vi sono i cosiddetti alberi fenice, che crescevano a 1,5 chilometri dal punto dell’esplosione e furono poi trapiantati qui: su un lato della chioma sono ancora visibili i segni delle bruciature.
Uno sguardo agli altri monumenti della città avrebbe aiutato a scacciare un po’ la malinconia, ma il treno per il rientro verso Kyoto ci stava oramai attendendo. Abbiamo quindi lasciato nostro malgrado quella splendida città ricca di vita e di voglia di andare avanti, dove ancora oggi risiedono 73.388 hibakusha (被爆者, sopravvissuto, ovvero coloro che sopravvissero al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki) dei 235.569 ad oggi ancora in vita.
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