Quella che stavamo per iniziare era l’ultima giornata dedicata alle visite e alle mille esplorazioni: l’indomani saremmo infatti ripartiti alla volta di casa, tuttavia quel pensiero era ancora lontano nelle nostre menti. Ancora immersi in quella magica avventura, ansiosi di visitare nuovi luoghi con la speranza di scoprire qualcosa di inaspettato, ci siamo incamminati verso la metropolitana: obiettivo della giornata la zona nord-ovest di Kyoto.
Benché la zona occidentale della città offra poche attrattive rispetto alle regioni orientali, alcune zone meritano davvero di essere viste. Si tratta di un’area essenzialmente residenziale, i cui punti d’interesse non sempre sono ben serviti dalla metropolitana, ma con un po’ di pazienza e voglia di camminare si può arrivare ovunque. Usciti dalla stazione di Kitaoji, ci siamo incamminati alla volta del Tempio Daitoku-ji (大徳寺), struttura pervasa da un’atmosfera di disciplina, come si addice ad un tempio legato al rituale della cerimonia del tè. Edificato nel 1325, il tempio prosperò nella seconda metà del XVI secolo, sotto il patronato dei signori feudali Oda Nobunaga e Hideyoshi, estimatori della cerimonia del tè. Oggi numerosi templi minori con celebri sale da tè e splendidi giardini continuano a promuovere i riti zen e la cerimonia del tè: fra questi abbiamo visitato il Daisen-in (大仙院) noto per il suo giardino roccioso del periodo Maromachi. Non siamo tuttavia riusciti a vedere i bellissimi paesaggi a inchiostro di Soami e Kano Motonobu che ne ornano l’interno.
Proseguendo lungo la Kitaoji-dori, siamo quindi giunti all’ingresso del Kinkaku-ji (金閣寺), il Padiglione d’Oro. Scintillante lascito del Giappone medievale, il Rokuon-ji (鹿苑寺, questo il suo nome ufficiale) fu fatto costruire dal terzo shogun Ashikaga Toshimitsu (1358-1408) che, rinunciando alle sue funzioni ufficiali (ma non al suo potere), divenne sacerdote all’età di 37 anni. In origine, il tempio era la sua villa privata, ma da fervente seguace del sacerdote zen Soseki, Yoshimitsu ordinò che l’edificio fosse trasformato in tempio dopo la sua morte, con Soseki come supervisore. Camminando lungo un viale alberato, il visitatore arriva in un giardino, al di là del quale si trova il favoloso padiglione. Esatta riproduzione dell’originale, distrutto da un incendio doloso nel 1950 (evento raccontato nel romanzo di Mishima Yukio, Il Padiglione d’Oro), l’elegante struttura a tre ordini è totalmente rivestita con foglie d’oro, con in cima una fenice di bronzo. Il monte Kinugasa fa da sfondo al giardino dotato di un laghetto centrale che, grazie al gioco armonioso dei vari elementi, è un magnifico esempio dell’architettura di giardini del periodo Muromachi.
Scattata una marea di foto e visitato il parco ammirando in tutta la sua bellezza questa splendida struttura, ci siamo incamminati per le viuzze di Kyoto alla volta del Tempio Myoshin-ji (妙心寺). Costruito nel 1337 per ordine dell’Imperatore a riposo Hanazono, poi distrutto durante la guerra di Onin e ricostruito più grande, il vasto complesso di templi zen della setta Rinzai di Myoshin-ji vanta circa 47 templi minori decorati con dipinti della scuola dei Kano e altri oggetti d’arte. Tra i templi aperti al pubblico vi sono il Keishin-in, noto per i quattro giardini e per il celebre albero del tè, e il Taizo-in (退蔵院), che ha un giardino roccioso di Kano Motonobu (1476-1559) e uno moderno di Nakane Kinsaku (1979-95).
Usciti dalla struttura abbiamo preso il treno dalla vicina stazione per scendere alla Stazione Saga Torokku da dove abbiamo proseguito a piedi alla volta del Quartiere Arashiyama. Arashiyama ha occupato a lungo un posto speciale nel cuore dei giapponesi e ancora oggi, nonostante gli onnipresenti negozi di oggetti decorati con le immagini delle celebrità del cinema e della televisione, la zona offre bellezze naturali incontaminate. Vista l’ora e la fame che avanzava, prima di iniziare la nostra esplorazione ci siamo imbucati in un piccolo ristorantino di okonomiyaki. Confesso che forse perché quella è stata la prima esperienza e di certo Kyoto non è il posto migliore dove assaggiare questa bizzarra pietanza, tuttavia mangiare un okonomiyaki (お好み焼き, che tradotto significa “cucina ciò che vuoi”) non mi ha certo entusiasmato. Benché questa “pizza-frittata” in sé racchiuda tutte le componenti di un pasto completo (uova, carne, verdura e altro ancora) non sono rimasto particolarmente colpito dal gusto. Tuttavia credo che darò un''altra possibilità a questo intruglio, provando a mangiarlo per una seconda volta, magari a Osaka, patria di questo manicaretto, in un prossimo viaggio in Giappone.
Con la pancia piena ci siamo subito diretti al centro del quartiere di Arashiyama, dove si trova il Togetsu-ryo (渡月橋, Togetsukyō), meglio noto come il “ponte della luna”, interamente costruito in legno. A nord del ponte, le pendici dei monti con i fitti boschi di pini e ciliegi digradano fino al fiume, dove in estate si svolge l’ukai, la pesca alla luce delle fiaccole con cormorani ammaestrati. Scattate delle bellissime foto a quello splendido paesaggio siamo tornati sui nostri passi andando a vistare il tempio della setta Rinzai Tenryu-ji (天龍寺), formalmente noto come Tenryū Shiseizen-ji (天龍資聖禅寺), che fu costruito dal primo shogun Ashikaga, Takauji, nel 1339. Al suo interno il giardino è rimasto intatto, con il laghetto a forma del carattere cinese kokoro, “cuore illuminato”. Mangiando il nostro primo ed unico gelato al tè verde su cono di cialda ci siamo immersi all’interno della foresta di bambù che si estende dalle spalle del tempio fino all’orizzonte. Splendidi e giganteschi alberi di bambù si ergevano tutto attorno a noi, facendo filtrare dolcemente la luce del sole e creando giochi d’ombra mai visti prima.
La sera, rientrati al ryuokan stanchi dalla lunga camminata, dopo un rilassante bagno in stile giapponese, abbiamo iniziato a fare i bagagli, consci che l’indomani avremmo dovuto riprendere la strada verso casa. A cena, però, quasi a voler suggellare quella splendida giornata e con la ferma volontà di lasciare un altro indelebile ricordo di quella stupenda vacanza, ci siamo concessi qualche lusso in più, alzando un po’ il gomito con della fresca birra nipponica e tirando fino a tardi davanti ad un buon ramen fumante: quella incredibile esperienza in Giappone volgeva al termine, ma tutto sembra dirci di restare lì, ancora un altro po’, quasi quella lontana Terra non volesse lasciarci andare.
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