Quarto giorno in Giappone ed eravamo già pronti per la nostra prima gita fuori Tokyo: la meta della giornata era la cittadina (se così la vogliamo chiamare) di Kamakura (鎌倉市, Kamakura-shi). Città di mare e di collina, Kamakura è stata capitale del Giappone dal 1185 al 1333 e a testimonianza della sua antica gloria ci sono 19 templi scintoisti e 65 templi buddisti, tra cui due dei più antichi monasteri zen del Giappone. Molti templi e giardini sorgono alle pendici delle colline e sono collegati tra loro da tre sentieri. Amata da artisti e scrittori, Kamakura vanta numerosi antiquari e artigiani.
Usciti dalla stazione, dopo una breve sosta al centro informazioni turistiche e giusto il tempo di capire che il materiale che ci stavano fornendo non aveva molto più di quanto scritto sulle nostre guide, ci siamo incamminati verso la Komachi-dōri, pittoresca via ricca di negozi di artigianato e souvenir di ogni tipo. Superato l’enorme torii rosso sulle cui placche laterali è inciso il nome della via, l’occhio non può che posarsi sul bizzarro negozio de “La Repubblica del Giardino delle Ghiande” (どんぐりガーデン共和国, Donguri Gaaden Kyōwakoku), la cui linea di prodotti è quasi totalmente dedicata ai gadget dello Studio Ghibli. L’obiettivo della gita, però, era più “culturale” e per questo dopo aver scattato qualche foto abbiamo preferito proseguire lungo la via, concentrando le nostre finanze su prodotti locali di ceramica e legno. Davvero belli i negozi e davvero intrigante la merce esposta: un acquisto non può davvero mancare se visiterete questi luoghi.
Giunti alla fine della suggestiva viuzza, ci siamo immersi nello splendido Tsurugaoka Hachiman-gū (鶴岡八幡宮), il più importante santuario scintoista, le cui strutture sono dedicate al dio della guerra e custode del santuario del clan Minamoto (o Genji). Costruito nel 1063 sul mare, fu trasferito qui nel 1191. Il complesso sorge tra due laghetti di loto: il lago Genji ha tre isole (in giapponese san significa a suo tempo “tre” e “vita”), mentre il lago Heike, che deve il suo nome al clan rivale, ne ha quattro (shi significa “quattro” e “morte”). Il luogo di culto è costituito da vari santuari posti su due livelli diversi comunicanti tramite varie scalinate, i più importanti dei quali sono quello principale (Hongū in giapponese), e quello minore (Wakamiya). Mischiati alla folla di anziani giapponesi e scolaresche in gita, abbiamo salito e sceso le scale di questa bellissima struttura, scattato molte foto e gustato della pace e della tranquillità della natura in cui è immersa.
Giunti alla fine della suggestiva viuzza, ci siamo immersi nello splendido Tsurugaoka Hachiman-gū (鶴岡八幡宮), il più importante santuario scintoista, le cui strutture sono dedicate al dio della guerra e custode del santuario del clan Minamoto (o Genji). Costruito nel 1063 sul mare, fu trasferito qui nel 1191. Il complesso sorge tra due laghetti di loto: il lago Genji ha tre isole (in giapponese san significa a suo tempo “tre” e “vita”), mentre il lago Heike, che deve il suo nome al clan rivale, ne ha quattro (shi significa “quattro” e “morte”). Il luogo di culto è costituito da vari santuari posti su due livelli diversi comunicanti tramite varie scalinate, i più importanti dei quali sono quello principale (Hongū in giapponese), e quello minore (Wakamiya). Mischiati alla folla di anziani giapponesi e scolaresche in gita, abbiamo salito e sceso le scale di questa bellissima struttura, scattato molte foto e gustato della pace e della tranquillità della natura in cui è immersa.
Rinfrancati nello spirito ci siamo avventurati lungo la Kamakura-kaido, una bellissima ma terribile via in salita (che solo più tardi abbiamo scoperto poterci evitare se solo avessimo preso i mezzi pubblici), per giungere nella zona di Kita (nord) Kamakura (山ノ内 o 山之内, Yamanouchi), un’area tranquilla ricca di gole alberate, ove sorgono tre dei “cinque grandi templi zen” di Kamakura: il Kencho-ji, il Enkaku-ji e il Jochi-ji (gli altri sono il Jomyo-ji e il Jufuku-ji). Stanchi dalla faticosa scarpinata, abbiamo democraticamente deciso che ci saremmo fermati a visitare solo il Kencho-ji (建長寺), il più celebre dei cinque templi e il più antico monastero zen del Giappone. Costruito nel 1253, in origine era costituito da 7 edifici principali e da 49 templi ausiliari, molti dei quali andarono distrutti dagli incendi: oggi ne restano soltanto 10. Eretto secondo la tipica struttura dei templi zen, dietro l’imponente porta, Sanmon, (e superata la biglietteria) sulla destra del lungo percorso si trova una campana del 1255 con una iscrizione zen attribuita al fondatore del tempio. Nella sala del Buddha, al posto del Buddha siede il bosatsu Jizo, redentore delle anime dei morti. Dietro la sala si trova lo Hatto, dove si svolgono le cerimonie ufficiali. Dato che questo edificio era a noi precluso, abbiamo proseguito e dopo aver superato la grande Karamon (porta cinese) siamo entrati a visitare lo Hojo, nel cui bellissimo giardino posteriore sorge uno splendido laghetto che ha la forma del carattere kanji che significa “cuore” o “mente”. Qui abbiamo fatto conoscenza con una simpatica coppia di giapponesi (lui di Kyoto e lei di Hiroshima) in visita come noi alla città di Kamakura. Tra qualche gesto e dell’inglese maccheronico abbiamo trascorso qualche simpatico momento, scattando l’immancabile foto di gruppo, rapiti dallo splendido panorama che si apriva alle nostre spalle. Salutati i nostri nuovi compagni di avventura e riprese le forze, ci siamo incamminati lungo il sentiero alberato sul fianco della struttura alla volta dei templi ausiliari, lungo un’infinita scalinata che ci avrebbe portato al Santuario Hanso-bo. Grazie al cielo l’immane scarpinata è stata ripagata da un’impareggiabile vista sulla baia di Sagami. Nel volgere il nostro sguardo verso l’orizzonte, ci siamo accorti anche di un piccolo punto panoramico che puntava (secondo quanto indicato dal cartello) alla sacra montagna: il Fuji. Purtroppo la nebbia all’orizzonte ci ha fatto solo scorgere quella che poteva sembrare la sagoma della più alta vetta del Giappone. Tuttavia l’emozione è stata tanta, troppa.
Scesi nuovamente a valle, dopo un generoso ramen con tempura in un simpatico ristorantino scovato nelle viuzze parallele alla Komachi-dōri, siamo tornati alla Stazione di Kamakura. Qui, grazie anche alle indicazioni in un inglese misto a giapponese di un gentile giovane addetto ai risciò, abbiamo preso un trenino locale che nel giro di pochi minuti ci ha portati alla stazione di Hase. Usciti dalla piccola stazione abbiamo seguito il resto della folla lungo una piccola via in salita alla volta del Grande Buddha (鎌ヶ谷大仏, Kamagaya Daibutsu), il tesoro più famoso di Kamakura. Fusa nel 1252, la statua bronzea del Buddha Amida alta 13,5 metri è sopravvissuta a mareggiate, incendi, terremoti e tifoni. Grazie ad un raffinato gioco prospettico, si ha l’impressione che la struttura sia inclinata verso i visitatori. L’interno cavo è aperto al pubblico, ma posso testimoniare che non rivela nulla anche al più attento visitatore: tuttavia l’esiguo costo merita il “viaggio”, almeno per la soddisfazione di dire: “Ci sono stato dentro anch’io”. Manco a farlo apposta abbiamo incontrato la coppia di giapponesi conosciuta in mattinata al santuario Kencho-ji. Dopo l’immancabile foto ricordo davanti al possente Daibutsu e i saluti profusi da mille inchini, ci siamo incamminati verso la stazione di Hase.
Prima di salire sul treno, però, abbiamo proseguito lungo la via, oltrepassando la linea ferroviaria in direzione del mare. Qui ci siamo accorti di un simpatico signore vestito di bianco, seduto a bordo strada, con carta e penna in mano, intento a contare le persone che attraversavano il passaggio a livello: in quel momento il pazzo mondo nipponico si rivelava a noi nella semplicità di un addetto alle statistiche… Ah, Grande Demone Celeste! Siamo quindi giunti su quella che doveva essere la spiaggia Yuigahama (由比ヶ浜海岸), che ai nostri occhi, però, è apparsa nulla più di un abbandonato litorale dove un caterpillar andava avanti e indietro nel vano tentativo di liberare la battigia da immense montagne di rifiuti trascinati lì dalle onde. Un po’ delusi dal paesaggio ma allo stesso tempo colpiti dalla spiazzante semplicità con cui un cartello indicava di fare attenzione ai possibili tsunami in caso di terremoto, ci siamo incamminati lungo la strada del rientro, soddisfatti comunque della giornata che volgeva al termine.
Rientrati a Tokyo, benché stanchi dalla gita ma vista l’ora non tarda abbiamo ugualmente deciso, dopo una bella doccia rigenerante, di proseguire le nostre esplorazioni e ci siamo quindi diretti verso l’area portuaria di Odaiba (お台場), una grande isola artificiale nota per lo svago dove poter fare acquisti, mangiare cucina prelibata, divertirsi e ammirare la Baia di Tokyo, tutto in una volta sola. Per raggiungere la nostra meta abbiamo preso la Yamanote Line fino alla zona di Hamamatsucho (浜松町) dove abbiamo cambiato treno, utilizzando il sistema di transito automatizzato “Yurikamome” (新交通ゆりかもめ, Shinkōtsū Yurikamome). Questo trenino senza pilota ci ha quindi accompagnato lungo i 918 metri del Ponte Rainbow (レインボーブリッジ, Reinbō burijji) fin nel centro dell’isola. Scesi alla fermata U6 (ma il consiglio che vi diamo è quello di proseguire almeno fino alla U7) abbiamo poi passeggiato per le vie ammirando le strutture del Parco Marino di Odaiba e la Sede della Fuji TV (株式会社フジテレビジョン, Kabushiki Gaisha Fuji Terebijon) di cui molte aree quali la sfera osservatorio, il negozio e la Fuji Tv Plaza sono aperti al pubblico. Abbiamo poi attraversato il ponte sulla Strada Costiera della Baia per fermarci all’interno del Parco della Passeggiata Simbolica. Convinti di trovare la riproduzione in scala originale del Gundam, abbiamo compensato l’amara sorpresa del suo smantellamento (avvenuto qualche giorno prima del nostro arrivo in Giappone) ammirando in lontananza le strutture del Museo delle Scienze Marine, il cui tema sono le culture oceaniche e marittime, che possiede attrazioni come la Soya, una nave di osservazione antartica non più in servizio ed un osservatorio. Poco oltre si erge la sagoma dell’Oedon Onsen Monogatari, un theme park dedicato ai bagni termali, dove si hanno a disposizione 14 stazioni balneari, comprese due sorgenti calde naturali al coperto. Voltando lo sguardo a sinistra abbiamo inoltre ammirato in lontananza la Palette Town, i cui centri acquisti sono l’attrazione principale dell’isola di Odaiba: il “Venus Font” imita una città medioevale europea e il “Venus Font Family” contiene negozi di animali e di abbigliamento per bambini. La ruota panoramica gigante, infine, conclude degnamente il panorama, come a guardare un bellissimo quadro notturno. Vista l’ora tarda e la fame che avanzava, abbiamo preferito non proseguire sulla Yurikamome fino alla stazione U10 che ci avrebbe catapultati all’interno della Palette Town, ma rientrare verso la città di Tokyo.
Dopo esserci fermati a mangiare un fugace ma gustoso ramen all’interno di un piccolo ristorante, dove oltre a noi sedevano al bancone altri 4 commensali (ricordo ancora l’espressione di stupore scolpita sul viso della proprietaria al nostro ingresso al vedere quattro gaikokujin, subito mascherata dietro il solito “irasshaimase!”), ci siamo diretti verso lo Shiodome (汐留), l’area più popolare della zona della baia di Tokyo, degna conclusione di quella memorabile giornata. Visto che la strada sulla cartina ci sembrava poca abbiamo disgraziatamente deciso di raggiungere la struttura a piedi. L’infinita passeggiata si è tuttavia rivelata piena di sorprese, regalandoci una veloce visita notturna al Tempio Zojoji (三縁山増上寺, San'en-zan Zōjō-ji), fondato nel 1393 come seminario nenbutsu della scuola buddista Jodo-shu, che divenne più tardi il tempio di famiglia degli Tokugawa. La porta in legno del tempio è un pezzo architettonico originale del XVII secolo ed è stato designato importante proprietà culturale del Paese. Di lì a poco siamo finalmente giunti alla Tokyo Tower (東京タワー, Tōkyō tawā), splendida torre per le trasmissioni che con i sui 332,6 metri è la più alta struttura artificiale del Giappone. Costruita nel 1958 dallo studio ingegneristico Nikken Sekkei, ispirandosi alla Torre Eiffel, per alloggiarvi un’antenna che trasmette segnali TV e radio per conto di importanti emittenti giapponesi, la struttura al suo interno offre al pubblico un museo delle cere ed un museo del Guinness dei Primati. Solo alcuni di noi hanno voluto ammirare lo splendido panorama offerto dall’osservatorio, mentre gli altri hanno preferito riposare ai suoi piedi, scattando foto, imprimendo nella loro mente i colori bianco-arancio irradiati dalla torre in quella buia e fresca notte tokyonese.
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