Anche se la sera precedente eravamo andati a letto col mal di piedi, quel giovedì mattina ci siamo alzati molto presto: ci aspettava una lunga trasferta in treno (circa 3 ore) fino a Nikkō (日光市, Nikkō-shi), città che si trova nella regione montuosa della prefettura di Tochigi (栃木県, Tochigi-ken), circa 140 chilometri a nord di Tokyo. Si narra che oltre 1200 anni fa il venerabile sacerdote buddhista Shodo Shonin, in cammino per il monte Nantai, attraversò il fiume Daiya e fondò il primo tempio della città. Secoli più tardi, Nikkō fu centro di rinnovamento buddhista-scintoista e Tokugawa Ieyasu lo scelse come luogo per il proprio mausoleo. Con questa santuario, eretto nel 1634 e detto Tosho-gu, suo nipote Iemitsu volle dimostrare ai rivali la ricchezza e il potere del clan Tokugawa: da allora Nikkō, che significa “i raggi del sole”, è diventato sinonimo giapponese di splendore.
Giunti alla stazione JR, la più vecchia del Giappone orientale, ci siamo immediatamente incamminati lungo il viale principale in direzione della zona dei templi, raggiungibile anche in autobus che abbiamo però preferito non usare lasciandoci invece incantare da negozi, ristoranti e dallo splendido paesaggio di montagna che offriva ai nostri occhi. Giunti all’ingresso del Parco Nazionale di Nikkō, ci siamo fermati ad ammirare il Ponte Shinkyo (神橋), dalla struttura in legno laccata di rosso, che attraversa ad arco il fiume Daiya nel punto esatto in cui, secondo la leggenda, Shodo Shonin attraversò il fiume sul dorso di due enormi serpenti. Il ponte originale, costruito nel 1636 per l’uso esclusivo degli shogun e dei messaggeri imperiali, fu distrutto da un’inondazione: quello attuale, invece, risale al 1907. Scattate alcune foto abbiamo proseguito fino all’ingresso dell’area dei templi dove abbiamo acquistato il biglietto cumulativo per visitare le cinque attrazioni principali della città. Ovviamente la visita prevede una specie di “percorso guidato” lungo un sentiero che collega fra loro le varie strutture, che puntualmente noi abbiamo scardinato, proseguendo a casaccio lungo le vie e visitando in ordine sparso i vari templi, guidati più dall’istinto che dalla mappa che tenevamo tra le mani.
Abbiamo così visitato il Tempio Rin-no-ji (輪王寺), primo tempio fondato a Nikkō da Shodo Shonin nel 766, che originariamente si chiamava Shihonryu-ji. Quando divenne un santuario della setta Tendai, nel XVII secolo, cambiò nome in Rinno-ji. Il suo Sanbutsu-do (三仏堂, Sala dei tre Buddha) è l’edificio più grande di Nikkō: le tre immagini dorate del Buddha Amida, Senju (dalle mille armi) Kannon e Bato (dalla testa di cavallo), custodite gelosamente, corrispondono alle tre divinità montane venerate al santuario Futara-san. Oltre al salone, il pilastro di bronzo a nove anelli, Sorinto, contiene mille volumi di sutra (scritture buddhiste) ed è un simbolo di pace mondiale. Nella Sala del Tesoro (Homotsuden) sono esposti i preziosi tesori del tempio, risalenti soprattutto al periodo Edo. Dietro a esso, infine, sorge lo Shoyoen, un bel giardino in stile Edo dell’Ottocento, curato in ogni stagione. Il suo vialetto si snoda lungo un lago, con ponticelli in pietra e lanterne coperte di muschio. Devo confessare che delle strutture di questo tempio il laghetto è quella che meno mi ha entusiasmato, vista forse l’impossibilità a passeggiarci all’interno e forse perché messa in secondo piano rispetto alle altre bellezze della struttura.
Utilizzando il nostro biglietto cumulativo, abbiamo proseguito verso il Santuario Futara-san (二荒山神社). Fondato da Shodo Shonin nel 782, il sacro edificio è dedicato alle divinità dei monti Nantai (maschio), Nyotai (femmina) e Taro, il loro figlio. Si tratta in realtà del più importante dei tre santuari: gli altri due si trovano sulle pendici del lago Chuzenji sul monte Nantai. Abbiamo qui ammirato il grande torii di bronzo al suo ingresso, dichiarato Proprietà Culturale, e l’alta lanterna sempre di bronzo, simile si dice ad un mostro notturno, i cui sfregi si narra siano opera della spada di un terribile samurai.
Proseguendo la nostra passeggiata nella natura siamo giunti al grande torii di granito, ingresso dello splendido Santuario Tosho-gu (東照宮). Tokugawa Iemitsu eresse questo mausoleo-santuario per il nonno Ieyasu con l’intento di stupire: per due anni circa 15.000 artigiani di tutto il Giappone hanno scolpito, dorato, dipinto e laccato senza sosta per dar vita ad un complesso grandioso in stile Momoyama curato in ogni dettaglio. Sebbene sia del periodo Meiji, conserva molti elementi buddhisti, tra cui un’insolita Pagoda a cinque piani donata da un daimyo (signore feudale) nel 1650, e una Porta Niomon (o Omotemon) protetta da due figure di Nio, una con la bocca aperta per pronunciare la prima lettera dell’alfabeto sanscrito (ah), l’altra con la bocca chiusa per l’ultima lettera (un). Superata la porta si possono ammirare la Stalla Sacra le cui pareti sono decorate da un intarsio delle tre scimmie sagge parte di un racconto che può essere letto camminando attorno all’edificio, la Fonte Sacra la cui vasca in granito risalente al 1618 è ricoperta da una struttura in stile cinese, e il Rinzo al cui interno vi è una biblioteca di sutra (che purtroppo non abbiamo potuto visitare). Salendo alcuni gradini si giunge alla Porta Yomeimon riccamente ornata con animali e piante, dove una delle sue 12 colonne è decorata al contrario, un difetto voluto per evitare di fare arrabbiare gli spiriti gelosi. Superata la successiva Porta Karamon, la più piccola di tutto il santuario, si accede allo Haiden (santuario), anticamera del successivo Honden (santuario interno).
A ovest del Santuario Futara-san sorge Taiyuin (noto anche come Taiyuin-byo), il mausoleo di Tokugawa Iemitsu, nipote di Ieyasu e potente terzo shogun che chiuse il Giappone al commercio estero e lo isolò dal mondo per 200 anni. Se Tosho-gu è splendida, Taiyuin-byo è sublime. Terminata nel 1653, la struttura è situata in un bosco di cedri giapponesi e per giungere al punto ove sono custodite le ceneri dello shogun occorre superare innanzitutto la Porta Niomon, l’entrata principale al santuario ove un dio guerriero Nio è di guardia su ogni lato. Si giunge poi alla Porta Nitenmon, nelle cui nicchie vi sono quattro statue di guardiani: davanti, gli dei Komoku e Jikoku, dietro, la figura verde è la divinità del vento, quella rossa del tuono. Salita una ripida rampa di scale si accede alla Porta Yashamon, terza porta magnificamente dorata, contenente quattro statue di Yasha, un feroce spirito guardiano. È nota anche come Botanmon (“porta della peonia”) per i suoi fini intagli floreali. Dietro a questa si scorge immediatamente la Porta Karamon abbellita da intarsi tra cui uno che rappresenta una coppia di gru. Superata questa porta si accede allo Haiden (santuario), decorato con draghi, che custodisce anche alcuni famosi leoni del XVII secolo opera della scuola di Kano. Dall’esterno, poi, abbiamo ammirato lo Honden (santuario interno) in quanto chiuso al pubblico. La visita si è conclusa ammirando la Porta Kokamon, realizzata in stile cinese Ming, proprio accanto al sentiero che porta alla tomba di Iemitsu.
Rientrati a Tokyo, abbiamo dedicato la serata al bucato, sperimentando così l’ebbrezza di veder rotolare i nostri vestiti sporchi all’interno di una grossa lavatrice e poi di una asciugatrice, entrambe nipponiche. Al di là dell’aspetto ludico la cosa si è rivelata davvero utile poiché ci ha permesso di razionare il bagaglio in andata, consapevoli che al nostro ritorno avremmo sicuramente sforato i 20 kg di valigie consentiti. Concludo il racconto di quell’intensa e bellissima giornata, invitandovi a non usare le “washing machine” messe a disposizione dagli hotel (o almeno quella del nostro) perché non sono poi così pulite e affidabili: il consiglio è quello di perdere un po’ di tempo, ma di cercarne una “professionale” messa a disposizione da negozi ad hoc nel fornire il servizio di “self-lavanderia”. Col senno di poi, avendo provato anche questa seconda opzione ci siamo trovati davvero bene, bollando come negativa (ma utile) la prima esperienza.
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