Mamma che emozione quella domenica mattina, ci preparavamo a completare le valigie e lasciare Tokyo (東京, Tōkyō), letteralmente la “capitale dell’Est”, familiare per certi aspetti e per altri del tutto estranea al visitatore straniero, città dai mille volti, così grande, colorata, frenetica e travolgente da sembrare la capitale dell’intera Asia Orientale, per raggiungere Kyoto (京都市, Kyōto), il millenario cuore della cultura tradizionale nipponica. E tutto questo grazie ad una delle meraviglie che hanno reso e tutt’ora rendono il Giappone uno dei Paesi più avanzati dell’intero mondo: lo Shinkansen (新幹線), il cosiddetto “treno proiettile” (in giapponese dangan ressha, 弾丸列車).
Dopo aver fatto l’ultima memorabile colazione presso il bar dell’Hotel Kadoya e aver salutato il gentilissimo personale dell’albergo, del quale non posso che conservare un bellissimo ricordo, persone squisite e infinitamente servizievoli, quasi da sembrare inopportune, abbiamo raccolto le nostre valigie cariche di regali e ricordi e ci siamo diretti alla stazione di Shinjuku. Da lì abbiamo preso la Yamanote Line (山手線, Yamanote-sen) con destinazione Shinagawa (品川駅, Shinagawa-eki), dove stava ad attenderci il nostro treno per Kyoto. Dato che dalla stazione di Shinagawa avevamo transitato solo una volta rientrando da Kamakura, e per quanto da una settimana in Giappone non ancora abituati alla spiazzante puntualità delle ferrovie nipponiche, abbiamo preferito raggiungere quell’importante snodo ferroviario con un’oretta di anticipo sull’orario di partenza. Tutto questo, però, ha causato non poco imbarazzo al ragazzo della JR al cancello d’ingresso dell’area dedicata agli Shinkansen, che non trovando sul tabellone elettronico il numero del nostro treno ha dovuto scartabellare un piccolo manuale recuperato sotto la scrivania del suo ufficio per confermarci il binario esatto: eravamo davvero troppo in anticipo. Abbiamo così approfittato per ammirare e sbavare sulla miriade di Nozomi (のぞみ, speranza), Hikari (ひかり, luce), Kodama (こだま, eco), i tre tipi di convogli in ordine di velocità (dal più rapido al più lento) che transitavano davanti ai nostri occhi. Simili a proiettili fatti per attraversare l’aria, questi bellissimi treni bianchi sfrecciavano lasciandosi mostrare giusto il tempo di una foto, quasi fossero delle star pronte a salire in passerella.
Guardando non troppo lontano da casa nostra, possiamo facilmente scoprire che i francesi hanno fatto un grande sforzo per dimostrare cosa significa avere treni ad alta velocità, ma i giapponesi lo sanno fare meglio e da molto più tempo. Risale infatti al 1959 la costruzione del “treno proiettile” (così chiamato non per il suo significato in giapponese, ma per la caratteristica forma aerodinamica a forma di proiettile che contraddistingueva la prima serie di Shinkansen) di Tokaido. Benché la TGV-A abbia stabilito, una sola volta, il record di 574,8 km/h (una velocità elevatissima, ottenuta però grazie a diverse modifiche al veicolo e alla linea), il treno regolarmente in servizio più veloce del mondo è lo Shinkansen Serie 500, che ha viaggiato alla più alta velocità ferroviaria mai raggiunta senza modifiche al veicolo o alla linea toccando i 443 km/h. Ma le meraviglie non finiscono qui: i giapponesi hanno saputo aggiungere a questo delle brevissime soste in stazione, direi poco meno di 2 minuti, rese possibili dal molto personale presente sulle banchine e dalla segnaletica sui marciapiedi, ove sono indicate la varie carrozze del treno e dove la porta automatica si apre non appena questa meraviglia della tecnologia si arresta. Impossibile sbagliare: io avevo il posto 1-C sulla carrozza 6 e mi è bastato cercare l’indicazione a terra, posizionarmici sopra, per attendere l’apertura delle porte, esattamente davanti a me. Fantastico!
Il viaggio è stato davvero un lusso: cabina spaziosa, silenziosa, pulita, con un sedile davvero comodo, rivolto come tutti gli altri nella direzione di marcia, con tanto spazio per i piedi che abbiamo potuto tenere davanti a noi le valige (altro posto comunque non c’era) senza nessuna difficoltà. In poco più di due ore, dopo aver visto attraverso il finestrino in lontananza la sagoma del Fuji-san, e fatto un breve sonnellino, coccolati e cullati dal leggero ipnotico movimento del treno, siamo giunti all’impressionante stazione di Kyoto, nostro “campo base” per la seconda settimana in Giappone.
Uscire dalla stazione è stato più facile del previsto, le indicazioni in inglese erano presenti praticamente ovunque, e quindi in un batter d’occhio siamo arrivati sul piazzale antistante l’immensa struttura. La Kyoto JR Station, da alcuni ritenuta una vera “porta” per la città, progettata dall’architetto giapponese Hiroshi Hara, è la massima espressione delle teorie avveniristiche di Hara, che ha scritto di città future fatte di grattacieli collegati tra loro. Rivestita da un’immensa cascata di superfici vetrate poligonali che formano un insieme di specchi in movimento al solo scopo di riflettere la volta del cielo, l’edificio lascia lo spettatore quasi paralizzato e catturato dallo splendore dell’immagine che vi si proietta, facendolo rinvenire solo quando lo sguardo si posa sulla sagoma della Kyoto Tower che vi si riflette sopra, quasi fosse lì pronta a salutare il nuovo arrivato.
Ripresi dal piccolo shock e dopo l’immancabile serie di foto ricordo, abbiamo messo mano alla nostra cartina e ci siamo incamminati verso il nostro albergo. Dopo poco più di cinque minuti, siamo giunti al Shimizu Ryokan, piccola struttura posta all’interno di una viuzza così stretta da permettere il passaggio a mala pena di una piccola utilitaria, visibile più che altro per la pittoresca insegna abbellita da vasi di fiori e secchielli pieni d’acqua da utilizzare in caso di incendio. Una volta entrati, dopo essere stati accolti con quel fare tutto giapponese dal giovane proprietario e da quella che credo sia stata sua moglie, abbiamo compilato un paio di moduli e siamo quindi saliti al primo piano dove ci attendevano le nostre due stanze. Una volta entrati la sorpresa è stata davvero tanta. Per quanto mi fossi preparato e avessi letto in tema, l’impatto con una stanza dalle pareti in legno-cartone e i pavimenti in tatami è davvero forte. Il profumo che si avverte è davvero unico, inimitabile, e la pace che trasmettono gli oggetti all’interno della stanza è davvero impareggiabile: un luogo accogliente, che mi ha fatto sentire a casa, un luogo insolito, inaspettato, quasi bizzarro, ma davvero eccezionale.
Disfatte le valigie e dopo un’accurata esplorazione delle nostra nuova stanza (di cui avremo tempo e modo di parlare poi) abbiamo preferito sfruttare il resto del pomeriggio per iniziare a visitare i dintorni della stazione. Ci siamo quindi diretti immediatamente verso il Tempio di Nishi Hongan-ji (西本願寺), edificato dallo shogun Toyotomi Hideyoshi nel 1951, sede centrale della scuola buddhista Jodo-Shinshu. Gli attuali edifici, eretti nel XVII secolo, rappresentano uno dei più raffinati esempi dell’architettura buddhista giapponese. Alle spalle dell’impotente cancello principale si trova la Sala del Fondatore (Goei-do), che custodisce una statua in legno di Shinran, fondatore della scuola. Abbiamo proseguito poi verso la Sala Daisho-in, che fu prelevata dal Castello di Fushimi di Hideyoshi nel 1632 insieme alla Karamon (Porta Cinese) che le stava di fronte: purtroppo non abbiamo potuto ammirare i bellissimi disegni della scuola di Kano conservati al suo interno in quanto chiusa. Conclusa la visita anche alle altre strutture del tempio, tra cui lo Hiunkaku, il padiglione a tre piani che un tempo era la dimora privata di Hideyoshi, abbiamo proseguito la nostra escursione della zona, puntando verso un altro tempio.
Nell’inseguire la “soave” voce di un corvo ci siamo persi per le viuzze di Kyoto, ritrovandoci con nostra somma sorpresa al cancello d’ingresso di una tipica scuola nipponica. Mamma che sensazione! Identica alle immagini viste nelle puntate di molti anime, abbiamo potuto scattare però solo qualche foto dall’esterno, dopotutto era domenica, ammirando i caldi raggi di sole che in quella tarda giornata di metà settembre si riflettevano sui vetri dell’edificio.
Ripresa la bussola abbiamo puntato verso il Tempio di Higashi Hogan-ji (東本願寺), costruito da un abate, che dopo essere stato ripudiato aveva abbandonato la scuola di Jodo-Shinshu per fondarne una corrente rivale. Purtroppo giunti innanzi alla sontuosa Porta Goei-do abbiamo scoperto essere terminato l’orario delle visite (che in Settembre finisce alle 17:30) e quindi, nostro malgrado, abbiamo proseguito lungo la via fino a raggiungere la base della Kyoto Tower (京都タワー, Kyōto-tawā). Dopo una breve esplorazione dei negozietti posti alla sua base, ricchi di inutili cianfrusaglie, abbiamo attraversato la piazza per completare la visita della Stazione di Kyoto. È stato così piacevole scoprire che nel cinema all’interno della struttura vi era una piccola mostra dedicata a Astro Boy (鉄腕アトム, Tetsuwan Atomu, letteralmente “Atom dal pugno di ferro”), manga ed anime giapponese del mangaka e regista Osamu Tezuka (手塚治虫, Tezuka Osamu), a cui spesso ci si riferisce con l’appellativo di “dio del manga”. Scattate le immancabili foto ricordo e rinunciato nostro malgrado alla proiezione del film (visto che non avremmo comunque capito nulla), abbiamo preferito chiudere lì quella prima giornata a Kyoto, piena di emozioni e di sensazioni nuove, così diverse da quelle vissute nella prima settimana a Tokyo, ma altrettanto forti e coinvolgenti, rientrando quindi al nostro ryokan, per una doccia e poi un bel piatto di ramen scacciapensieri.
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