La sera prima la ragazza alla reception del ryokan ci aveva chiesto se l’indomani avremmo voluto provare la colazione tradizionale nipponica: ovviamente noi abbiamo raccolto la sfida e quindi, quel mattino, dopo un bella e sana dormita all’interno dei nostri caldi e comodi futon ci siamo presentati nella sala da pranzo per sfidare la sorte e mangiare come un qualsiasi buon giapponese si rispetti… forse.
Ad uno sguardo veloce, la colazione non si discostava molto dalla cena che avevamo fatto il giorno prima, o il giorno prima ancora… Praticamente consisteva in una ciotola di immancabile riso bianco caldo, due fette di tamagoyaki (tamago, たまご, uova e yaki やき, alla griglia) la frittata giapponese, del pesce cotto e cinque diversi tipi di verdure cotte e marinate dal gusto pungente e acidulo, molto probabilmente perché trattate con aceto. Il tutto era accompagnato da una scodella di zuppa di miso ed un bicchiere di tè con uno strano e inaspettato retrogusto di “affumicato”. Io sono dell’idea che occorre provare le cose prima di giudicarle, tuttavia dopo quell’esperienza ho compreso perché molti tokyonesi la mattina facevano colazione all’occidentale: in quello stesso istante abbiamo deciso che non avremmo più fatto la colazione tradizionale, sperando tanto che i responsabili del ryokan non ne avessero a male.
Usciti dal nostro campo base, e dopo una breve sosta al “Caffè Veloce” accanto alla Stazione JR di Kyoto per permettere a chi di noi non era riuscito ad affrontare la colazione nipponica di prendersi almeno un cappuccino, abbiamo iniziato una lunga camminata verso la zona centrale di Kyoto, il quartiere di Kamigyo (上京区, Kamigyō-ku), e quindi il Castello di Nijo (二条城 Nijō-jō), una delle poche fortificazioni del Giappone. La scelta di percorrere il tratto tra la stazione e il castello a piedi non è stata forse delle migliori, dato che ci ha portato via circa un’oretta, ma ci ha permesso di visitare e apprezzare la città di Kyoto, cosa che altrimenti non avremmo mai potuto gustare. Famoso soprattutto per i suo interni decorati e per i caratteristici “pavimenti dell’usignolo”, ideati per produrre un suono simile al canto di un uccello nel momento in cui vengono calpestati così da avvertire anche della presenza di intrusi, il complesso è stato voluto dallo shogun Tokugawa Ieyasu (1543-1616), ed è simbolo di potere e ricchezza dello shogunato di Edo. Superata la grande Porta Karamon, porta del periodo Mamoyama, con frontone in stile cinese e decorazioni dorate, ci siamo diretti verso l’ingresso del palazzo, ove nella parte alta del porticato è facile lasciarsi incantare dai singolari bassorilievi di uccelli in volo, pavoni blu e delicate coppie di fiori. Tolte le scarpe abbiamo iniziato la visita al Complesso Ninomaru, cuore del Castello di Nijo, costituito dalle sale dei ricevimenti, un armonico gruppo di edifici collegati tra loro da passerelle di legno. È facile restare affascinati dalle splendide pitture sui pannelli scorrevoli che rappresentano la più vasta collezione di dipinti della Scuola di Kano esistenti. Tra i motivi ricorrenti vi sono scene di tigri e pantere tra bambù, oche selvatiche in paesaggi invernali, pini, rondini in volo e pavoni. Superata la Shikidai (sala dei ricevimenti), si giunge alla Ohiroma Ichi-no-ma (la prima grande sala) dove è possibile ammirare i manichini che rappresentano i daimyo (signori feudali) mentre rendono omaggio allo shogun all’interno del suo baldacchino. Proseguendo si ha la possibilità di vedere altre rappresentazioni di scene di corte, sia nella Kuroshoin (lo studio nero) dai bellissimi pannelli dipinti con motivi di ciliegio, fin alla Shiroshoin (la stanza dello shogun). Naturalmente tutta la passeggiata è accompagnata dal “canto d’usignolo”, prodotto grazie ai morsetti e ai chiodi posti sotto la superficie delle passerelle in legno, che calpestate sfregando fra loro producono questo caratteristico suono. Usciti dalla struttura abbiamo proseguito la visita all’interno del giardino del Castello, restando catturati dalla qualità e varietà di piante raccolte al suo interno.
Usciti dal complesso abbiamo raggiunto velocemente il vicino Parco Imperiale (京都御苑, Kyōto Gyoen), una grande oasi nel cuore della città di Kyoto, al cui interno vi sono il Palazzo Imperiale (京都御所, Kyōto Gosho) e il Palazzo dell’Imperatore a riposo (仙洞御所 土橋, Sentō Gosho), il cui giardino fu creato dai Tokugawa nel 1630 per l’imperatore a riposo Go-Mizuno’o. Poiché la visita a queste strutture è consentita solo su prenotazione presso l’Agenzia della Casa Imperiale (Kunaicho), posta nell’angolo nord-ovest del parco, e dato che non avevamo fatto in tempo a organizzarci per effettuare la prenotazione, abbiamo preferito sederci ai bordi di un campo di baseball a mangiare un panino, gustandoci lo spettacolo offerto dall’allenamento di softball di alcune ragazze.
Con la pancia piena siamo partiti nuovamente a piedi lungo la Imadegawa-dori alla volta della zona nord-est di Kyoto, il quartiere di Sakyo (左京区, Sakyō-ku), oltre il fiume Kano. Abbiamo quindi raggiunto l’inizio della cosiddetta Passeggiata del Filosofo, un sentiero lungo 1,5 chilometri che segue il canale Shishigatani fiancheggiato da ciliegi, che si snoda ai piedi degli Higashiyama (monti orientali) tra Ginkaku-ji sud e Nyakuoji-jinja per poi congiungersi con le strade che conducono al Tempio di Nazenj-ji. Il percorso è chiamato così perché un professore di filosofia dell’Università di Kyoto, Nishida Kitaro (1870-1945), vi faceva la sua passeggiata quotidiana.
Per primo abbiamo visitato il Ginkaku-ji (銀閣寺), soprannominato “Padiglione d’Argento”, che fu fatto costruire dallo shogun Yoshimasa Ashikaga come villa in cui trovare rifugio dai disordini della guerra civile e solo dopo la sua morte fu trasformato in tempio. In omaggio a suo nonno, che coprì il Kinkaku-ji (che avremmo visitato solo nei giorni successivi) di foglie d’oro, Yoshimasa voleva rivestire il padiglione in argento, ma il progetto rimase incompiuto a causa della guerra. Purtroppo il tempio era in ristrutturazione, pertanto abbiamo potuto solo ammirarlo dall’esterno. Camminando per il grande giardino, però abbiamo apprezzato lo splendido scenario del Padiglione d’Argento riflettersi sul vicino stagno, sulle cui rive abbondano pietre e massi mentre altri sembra galleggino nel suo interno, e un piccolo ponte di pietra che collega la penisola all’isola centrale. Dall’altro lato il giardino è adornato da un oceano di sabbia bianca “Ginsadan” con una originale forma conica che rappresenta simbolicamente una montagna. Anche se non viene da tutti considerato come un capolavoro dell’architettura dei giardini, rimane indiscussa la sua importanza per la cultura giapponese: al suo interno hanno trovato espressione il Noh, la cerimonia del tè, l’ikebana e la pittura a inchiostro.
Proseguendo verso sud, abbiamo visitato nell’ordine il Hōnen-in, piccolo tempio della setta Jodo con un rustico ingresso dal tetto di paglia e le dune di sabbia, lo Ōtoyo Shrine, ad est del canale dopo un piccolo ponte, uno dei pochi santuari scintoisti tra le grandi costruzioni buddhiste dello Higashiyama, e lo Eikan-dō Zenrin-ji (永観堂禅林寺), dove il tempio di questo complesso simile ad un parco, con edifici collegati da corridoi, ospita un Amida Buddha raffigurato nell’atto di guardarsi alle spalle, una posa assai insolita. Arrampicandoci lungo le pendici della montagna fin ad una delle pagode, abbiamo goduto di una splenda vista di Kyoto, grazie anche alla bella giornata.
Ridiscesi a valle e dopo una piacevole passeggiata per l’immenso parco, abbiamo proseguito oltre il Sentiero del Filosofo fino al Nanzen-ji (南禅寺), centro della storia dello zen giapponese dal 1386, quando divenne il tempio principale dei Gozan di Kyoto, i “Cinque grandi templi zen”. L’Hojo (stanza dell’abate) è immerso in un grazioso giardino, mentre il colossale Sanmon, una porta a due ordini, fu costruito nel 1626 per consolare le anime delle vittime dell’Assedio d’estate del Castello di Osaka. Ricostruita dopo la disastrosa guerra Onin (1467-77), la struttura del Nanzen-ji risale al XVII secolo, tranne un acquedotto in mattoni rossi in stile occidentale del periodo Meji. Una delle prime opere di ingegneria del Giappone, costruita nel 1890, faceva parte di un ambizioso progetto per portare acqua e merci dalla vicina prefettura di Shiga in città: benché possa sembrare fuori luogo, ha comunque un suo fascino ed è una delle principali attrattive per i giapponesi che vi scattano foto sotto i suoi archi, proprio come abbiamo fatto anche noi.
Stanchi morti dalla lunga camminata, raggiunta la Stazione di Kage (T09) sulla Linea Tozai, abbiamo preso la linea No.1 della metropolitana fino alla Stazione di Karasuma Oike (T13-K08), nostro cambio per la Linea Karasuma. Da qui abbiamo poi proseguito, sempre sulla linea No.1, fino alla Stazione JR di Kyoto (K11), la nostra meta finale. Tutto questo grazie all’estrema disponibilità e gentilezza dell’addetto ai biglietti che, pur non capendo e parlando inglese, ci ha aiutato a prendere i biglietti e ci ha poi fornito indicazioni con tanto di cartina su come raggiungere la stazione più vicina al nostro ryokan.
Rientrati in stanza, dopo un rilassante e rigenerante bagno, abbiamo concluso la giornata con un piatto di ramen e la seconda esperienza di bucato nipponico. Memori della non felice esperienza di Tokyo, questa volta abbiamo puntato verso una lavanderia professionale, dove per una cifra davvero irrisoria abbiamo fatto il bucato, bianco e colorati, fermandoci perfino allegramente a dare istruzioni ad altri turisti che come noi cercavano un modo per lavare i panni sporchi di quei giorni kyotonesi.
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