La stagione è oramai quasi al termine, ma prima di pulire e mettere via le attrezzature visto il bel tempo del fine settimana (e un po’ anche perché ci era rimasta la “fame di montagna” dall’ultima uscita) ci siamo alzati presto e siamo partiti alla volta dell’abitato di Carezza, e poi ai 1.758 metri del vicino Passo di Costalunga. Parcheggiata la macchina, per risparmiarci un po’ di fatica, abbiamo preso l’impianto di risalita che ci ha portato ai 2.125 metri del Rifugio Paolina, punto di appoggio per la nostra escursione alle cime del Catinaccio lungo la Ferrata Roda di Vaèl e Masarè. Il tempo di percorrenza totale dell’escursione è di circa 6-7 ore, ma molto dipende dalla gambe, dalla mole di persone che si trovano durante il percorso assai frequentato anche fuori stagione, nonché (ahimè) dagli alpinisti che eseguono le due ferrate in senso inverso.
L’aria un po’ frizzante di metà settembre e il cielo terso ci hanno regalato splendide foto del gruppo del Latemar: ma non c’era tempo da perdere! Quindi zaini in spalla siamo subito partiti in direzione del rifugio Fronza alle Coronelle, poiché sapevamo bene che giunti a metà del sentiero ci attendeva la faticosa salita ai 2.560 metri del passo del Vajolon. In circa un’oretta e mezza eravamo al passo da cui si scorge sulla destra l’attacco della prima parte della via ferrata che ci avrebbe portato sulla vetta della Roda di Vael (2.806 metri).
Vista la temperatura prossima allo zero, ci siamo affrettai ad indossare imbragature, caschi e guanti e siamo immediatamente ripartiti. Giusto il tempo per ammirare lo splendido panorama su alcune delle più importanti cime dolomitiche (Latemar, Gruppo del Sella, Marmolada, Pale di San Martino, solo per citarne alcune) che si apriva davanti ai nostri occhi, preludio di quanto avremmo potuto gustaste una volta saliti in vetta. Come spiega anche il sito del Rifugio Roda di Vaèl, in meno di un’ora seguendo il sentiero ben attrezzato abbiamo oltrepassata la croce che delimita la cima, non senza le foto di rito e un piccolo spuntino, e poi per tracce di sentiero siamo scesi fino al canalone ghiaioso che divide la Roda di Vaèl dalla cresta di congiunzione tra la Torre Finestra e il Croz di Santa Giuliana. Superata la breve ma esposta paretina (il tratto –forse– più impegnativo dell’intero percorso), si trova il bivio che da un lato (per chi non se la senti di proseguire oltre) scendere in un’oretta scarsa al rifugio Roda di Vaèl e dall’atro premette di proseguire per le Creste del Majarè, senza dubbio la parte più interessante di tutto la giornata.
Giunti alla base della Torre Finestra in una conca erbosa ha inizio la Ferrata Masarè che in circa 2 ore e mezza ci permette di compiere l’intero percorso, percorrendo in salita e discesa i vari torrioni che fanno da spartiacque naturale tra la provincia di Trento e quella di Bolzano. Cambiando ripetutamente di versante con numerosi saliscendi e parecchi tratti tecnicamente impegnativi, aiutati nei punti più esposti da corde fisse e pioli di ferro, si raggiungono dapprima i 2.585 metri della Punta del Masarè, per poi avventurarsi in una sequenza di stretti camini verticali assai esposti ma sempre ben attrezzati, sino all’uscita della ferrata. Infine da qui in circa mezzora giù fino al rifugio Roda di Vaèl.
Dopo un bel piatto di canederli e una birra fresca, e vista anche l’ora, siamo ripartiti alla volta del Rifugio Paolina. Ovviamente non poteva mancare una foto accanto al Monumento a Theodor Christomannos (1854 - 1911), alpinista e pioniere del turismo dolomitico, che fu l’ideatore della Strada delle Dolomiti (Dolomiten Strasse) da Nova Levante (Welschnofen) a Vigo di Fassa, costruita fra il 1894 ed il 1996, e a sviluppare turisticamente la zona di Carezza, dove vi aprì il primo grande albergo delle Dolomiti il Karersee, dove alloggiarono la Principessa Sissi, moglie dell’Imperatore Francesco Giuseppe, Winston Churcill e molti altri personaggi dalla nobiltà e dalla borghesia austro-tedesca. Per chi non lo sapesse, a lui si deve anche la costruzione del rifugio Roda di Vaèl.
Ridiscesi con la seggiovia, abbiamo preso l’auto e ci siamo diretti al piccolo Lago di Carezza (1.520 metri) sotto le pendici del massiccio del Latemar, che si specchia nelle sue acque cristalline.
Come riportato anche su Wikipedia.it, lo spettacolare aspetto del lago ha da sempre generato ammirazione e meraviglia. Intorno ad esso si raccolgono molte leggende altoatesine e numerosi scrittori e poeti ne hanno fatto il motivo di ispirazione dei loro dipinti e racconti. Le sue caratteristiche derivano dalla leggenda della bellissima Ondina, ninfa che ne abitava le acque. Lo stregone del Latemar se ne era innamorato e tentò più volte di rapirla. Un giorno, consigliato dalla Stria del Masarè, fece apparire sopra il Lago di Carezza un bellissimo arcobaleno allo scopo di attrarre la ninfa. Quando quest’ultima uscì dalle acque vide lo stregone e fuggì spaventata. Allora il mago, preso da gran furore, prese l’arcobaleno e lo gettò in mille pezzi nel lago. Da quel giorno nelle acque del Lago di Carezza si rispecchiano tutti i colori dell’iride.
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