«Le coincidenze a volte sono i segnali misteriosi della vita ai quali bisogna credere.»
Sì, una coincidenza… Le parole di Romano Battaglia sembravano scritte apposta per me. Perché erano già passati cinque anni da quel primo viaggio, cinque anni di cambiamenti, di maturazione, di avventure, di delusioni, di nuove scoperte, di sconfitte, di nuove passioni, ma una certezza mi era rimasta nel cuore. Il ricordo di quel dolce contrasto che mi aveva pervaso la mente, tutto quel continuo oscillare fra modernità estrema e tranquillità rurale, quel misto fra grattacieli e templi antichi, fra risaie e mare, fra laghi e montagne, tra innovazione e tradizioni, mi stavano ancora chiamando. Forte, prepotente, da starci quasi male.
Sì, una coincidenza… Quelle poche parole di Giovanni, quel suo semplice invito a fargli visita per la fioritura dei ciliegi. No, non potevo certo sottrarmi; la valigia era pronta, la meta era di nuovo quella, e nella testa lo stesso pensiero di cinque anni prima: “Giappone arrivo!”.
Questa volta il piano di volo prevedeva la rotta Verona-Roma-Ōsaka, quindi ero quasi certo che a bordo dell’aereo avrei potuto incontrare altri italiani che, come me era alla scoperta della terra del Sol Levante. E così il volo è trascorso veloce, tra una chiacchiera e un sonnellino, tra un film e un po’ di musica, attendendo di atterrare all’Aeroporto Internazionale del Kansai (関西国際空港, Kansai Kokusai Kūkō), situato a Izumisano (泉佐野市, Izumisano-shi), piccola città della prefettura di Ōsaka. Costruito tra il 1987 ed il 1994, è situato su di un’isola artificiale di 4 km di lunghezza per 1,2 km di larghezza, e distante 3 km dalla terraferma, cui si collega tramite un ponte a due livelli. Il magnifico terminal, la cui copertura ricorda l’ala di un aereo, è stato costruito su progetto di Renzo Piano: si sviluppa per una lunghezza di 1.700 metri e poggia su 900 colonne regolabili in altezza che permettono di sopperire al leggero abbassamento cui è soggetta l’isola artificiale.
Una volta sbarcato, dopo aver superato indenne l’ufficio immigrazione, il recupero bagagli e la dogana, con il secondo magico timbretto sul passaporto, mi sono diretto alla vota del Ticket Office della Japan Railways dove ho cambiato e convalidato il mio JR Pass giornaliero indispensabile per prendere posto sul treno della JR West che mi avrebbe portato alla volta di Kyōto (京都市, Kyōto-shi). Come sempre la puntualità dei treni nipponici è disarmante, quindi come da programma all’orario convenuto stavo già passeggiando sulla banchina della stazione di Kyōto, scrutando fra la folla, in cerca di quel volto amico, quello sicuramente diverso da tutti gli altri... e poi eccolo: “Giovanni! Luca! Hisashiburi desu ne! (久しぶりですね! Da quanto tempo!)”. Se ci ripenso ancora dovevamo proprio sembrare due scemi: saltellando abbracciati, chiedendoci l’un l’altro come andava, sparando domande a raffica per strappare il maggior numero di informazioni possibili.
Visto che era già metà pomeriggio e che non bisognava perdere nemmeno un momento, dopo una veloce tappa a casa di Giovanni per mollare la valigia e sciacquarsi il viso, eccoci già per le vie di Kyōto: Shijō-dori, Karasuma-dori e poi Teramachi (寺町通, Teramachidōri). Troppe emozioni, troppe cose da vedere, troppi suoni, mi sentivo come Alice nel Paese delle Meraviglie. Luoghi che avevo visto, che riaffioravano dalla memoria, ma che ora avevano un sapore nuovo, diverso, maturo. E ovunque intorno a noi ciliegi in fiore, i sakura (桜 o 櫻, さくら), magnifici nel loro splendore.
Ci siamo quindi diretti all’uscita meridionale del Santuario Yasaka (八坂神社, Yasaka-jinja) noto anche come Santuario Gion (梅宮神社, Gion-sha), indicata da rossi torii, accessibile dalla zona orientale del quartiere di Gion. Situato ai margini della zona commerciale di Kyōto, il Santuario ospita la principale festa religiosa della città, il Festival di Gion (祇園祭, Gion Matsuri), in luglio. Oramai era notte, ma tutto era illuminato quasi a non voler far terminare la giornata. Centinaia, migliaia di persone passeggiavano tra le bancarelle del tempio, dirette come noi verso il vicino Parco Maruyama (円山公園, Maruyama kōen), il più famoso e affollato luogo per contemplare la fioritura dei ciliegi, lo Yozakura (夜ノ桜 o よざくら, La notte del ciliegio).
Tradizionale evento giapponese che consiste nel celebrare e godere della bellezza dei fiori, l’Hanami (花見 o はなみ) è una festa all’aperto sotto gli alberi di ciliegio che dura una o due settimane. Come ben descritto su SakuraMagazine.com, si racconta che questa usanza abbia trovato le sue origini durante il periodo Nara (710-794), quando la Dinastia Cinese Tang influenzò il Giappone in molti modi differenti portando nel Sol Levante molte tradizioni e costumi. Una di queste era proprio quella di godere della bellezza dei fiori in primavera. Sebbene i fiori inizialmente celebrati fossero quelli di prugno (梅 o うめ, ume), i sakura diventarono molto presto i fiori prediletti per questa occasione proprio perché la loro bellezza attirava di più l’attenzione della gente. I sakura finirono così, nel periodo Heian, per diventare i fiori più celebrati durante il periodo dell’Hanami.
Fu l’imperatore Saga a voler adottare questa pratica cominciando a tenere feste e balli sotto gli alberi di ciliegio piantati nel giardino del palazzo della Corte Imperiale a Kyōto. A quell’epoca, l’Hanami era un evento riservato solo a persone di alto lignaggio, nobili, samurai che frequentavano la corte e poeti che scrivevano versi che lodavano il fascino e la meraviglia di tale bellezza. Poi con l’arrivo del periodo Edo questa ricorrenza venne aperta anche a tutti gli altri che poterono così festeggiare tale usanza bevendo sakè e mangiando sotto una pioggia di petali rosa.
Troppa era l’adrenalina in corpo, tanta ancora la voglia che questa prima giornata non finisse, così ci siamo diretti ad un pub, dove tra un paio di birre (credo) e le canzoni strampalate di due simpatici giapponesi abbiamo tirato fino a che il corpo non ce la faceva più a reggersi. E poi nel letto, poco prima di addormentarmi, mi sono dato un pizzicotto sulla guancia, a sincerarmi che non fosse solo un sogno. Quindi a nanna, felice come un bimbo il giorno del suo compleanno.
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