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Giappone 2014 #4: Kyōto

Obiettivo di questa nuova giornata era la zona occidentale di Kyōto. Dopo una bella colazione siamo partiti alla volta del Tempio Honpō-ji (本法寺), un tempio della setta Nichiren, la cui visita è particolarmente consigliata nella stagione dei sakura, dato che il suo giardino offre un posto tranquillo per godersi la fioritura dei ciliegi senza le solite folle di turisti. Honpō-ji ospita anche le opere del famoso artista giapponese del XVI secolo Hasegawa Tōhaku (長谷川 等伯), la più famosa delle quali è il suo dipinto su rotolo del Nehan-zu (ovvero “la morte del Buddha Shakyamuni”), alto ben 10 metri. Ovviamente di tutto questo non ho visto nulla, preso com’ero dal fotografare e ammirare i ciliegi in fiori tutto intorno a me.


Ci siamo poi diretti verso la Tomba di Murasaki Shikibu (紫式部), scrittrice e poetessa giapponese alla corte imperiale giapponese durante l’epoca Heian (794-1185), conosciuta principalmente per il romanzo Genji Monogatari (源氏物語, letteralmente “Il racconto di Genji”). L’opera è stata scritta in giapponese presumibilmente tra l’anno 1000 e il 1012, ed è considerata uno dei capolavori della letteratura giapponese così come della letteratura di tutti i tempi. Non a caso i critici letterari si riferiscono ad essa come al “primo romanzo”, il “primo romanzo moderno” o il “primo romanzo psicologico”. La visita alla tomba è stato anche un modo scoprire di più su questa figura emblematica, già a partire dal suo nome che in realtà è uno pseudonimo, in quanto il suo vero nome resta tuttora sconosciuto. È stato ipotizzato potesse essere Fujiwara Takako, come menzionato in un diario di corte del 1007 in riferimento ad una dama di corte imperiale che venne soprannominata “Murasaki” (紫, viola in giapponese), dal nome di uno dei personaggi principali del Genji Monogatari, mentre “Shikibu” si riferirebbe invece alla posizione governativa del padre, “Maestro Cerimoniere” (shikibu-shō).


Lasciato questo luogo e i misteri che porta con sé, ci siamo incamminati verso il complesso del Tempio Daitoku-ji (大徳寺), il luogo più indicato per respirare la vera cultura zen, ammirare splendidi giardini in stile giapponese e immergersi nelle tradizioni più antiche. Principale tempio della scuola buddista Daitoku-ji di Rinzai, fu fondato nel 1324, ma gli edifici originari furono distrutti durante la Guerra di Onin (1467-1477). Sostituiti nel 1479, subirono ulteriori ampliamenti nei secoli successivi, secondo l’usanza di trasportare gli edifici da un sito all’altro. Donata al tempio dall’Imperatrice Meisho (明正天皇, Meishō-tennō), la Chokushi-mon (勅使門) o Porta Imperiale dei Messaggeri, fu prelevata dal palazzo imperiale nel 1640; la Karamon (唐門), o Porta Cinese, proviene invece dal Castello di Fushimi di Toyotomi Hideyoshi (豊臣 秀吉). L’area principale del complesso del Daitoku-ji conta 23 templi minori, ma solo pochi di questi sono visitabili; tra essi il più famose è sicuramente il Daisen-in (大仙院), situato a nord ovest dell’edificio principale, che conserva al suo interno porte scorrevoli dipinte da Kanō Motonobu (狩野 元信) e il suo giardino è considerato uno dei capolavori del maestro della cerimonia del tè, poeta, scrittore d’arte e disegnatore di giardini Soami (相阿弥). La disposizione della sabbia, delle rocce e degli altri elementi del giardino sono tuttora oggetto di diverse interpretazioni, il che contribuisce ad aggiungere fascino e mistero a questo luogo.
È qui che il mastro Sen-no-Rikyū (千利休) elaborò nel corso del XVI secolo la cerimonia del tè, come un’arcana forma artistica. Rifuggendo l’ostentazione per ricercare la raffinatezza nella semplicità, Rikyū divenne il maggior punto di riferimento dell’estetica giapponese. Chiamato a corte come tale dallo shogun Toyotomi Hideyoshi, dai gusti dichiaratamente ostentati, Rikyū si trovava sul filo di un rasoio e infine perse i favori dello shogun, il quale nel 1591 lo costrinse a fare harakiri (腹切り). I motivi rimangono sconosciuti, anche se secondo alcune congetture fu accusato di aver organizzato un complotto per avvelenare Hideyoshi nel corso di una cerimonia del tè, mentre altri sostengono che Rikyū avesse mostrato disprezzo nei confronti del sovrano ponendo la sua statua sul sanmon del tempio di Daitoku-ji: era infatti inconcepibile che uno shogun passasse sotto l’effige di un vassallo. Una spiegazione più credibile è che Hideyoshi si fosse invaghito della figlia di Rikyū, e quando il tiranno la chiese per il suo harem, il maestro del tè si rifiutò.
Conquistato e pervaso dalla magia di questi luoghi e dalla storia che portano con sé, non ho potuto fare a meno di provare anch’io l’esperienza di bere del buon tè verde seduto sul tatami (畳), ammirando attraverso uno shoji (障子), lasciato leggermente aperto, alcuni petali di sakura poggiarsi a terra.


Non potevamo però fermaci a lungo, non eravamo che all’inizio della scaletta delle cose sa vedere quindi, un po’ a malincuore, abbiamo lasciato il Daitoku-ji per raggiungere il Seimei-jinja (晴明神社), un piccolo santuario situato vicino all’angolo sud-orientale tra Imadegawa-dōri (今出川通) e Horikawa-dōri (堀川通) a Kamigyo-ku (上京区). Il Seimei-jinja è dedicato all’astrologo, cosmologo e astronomo di corte del periodo Heian (794-1185), Abe no Seimei (安倍 晴明), detto anche Abe Haruakira, uno dei preferiti della corte imperiale. All’epoca infatti gli indovini erano considerati quasi come dei maghi ed erano conosciuti in giapponese come onmyo-ji (陰陽道 o in'yōdō, la via dello yin e yang).
Al suo interno si possono ammirare il pozzo a forma di pentagramma (dove il pentacolo simboleggia i cinque elementi cinesi: legno, fuoco, terra, metallo e acqua), il torii (鳥居) di ingresso con il motivo a pentagramma, nonché una grandissima pesca in metallo che si dica essere magica, in quanto strofinarla curerebbe da tutti i guai. Tentare non nuoce, o dopo una strofinatina, anzi due, siamo ripartiti di passo lesto verso la prossima meta.


Ci aspettava infatti in tutto il suo splendore il Kinkaku-ji (金閣寺) il Tempio del Padiglione d’oro, la cui immagine riflessa nel laghetto antistante compone uno scorcio di impareggiabile bellezza. Scintillante lascito del Giappone medievale, il Rokuon-ji (鹿苑寺, questo il suo nome ufficiale) fu fatto costruire dal terzo shogun Ashikaga Yoshimitsu (足利 義満) che, rinunciando alle sue funzioni ufficiali (ma non al suo potere), divenne sacerdote all’età di 37 anni. In origine, il tempio era la sua villa privata, ma da fervente seguace del sacerdote zen Musō Soseki (夢窓 疎石), Yoshimitsu ordinò che l’edificio fosse trasformato in tempio dopo la sua morte, con Soseki come supervisore. Camminando lungo un viale alberato, il visitatore arriva in un giardino, al di là del quale si trova l’elegante struttura a tre ordini totalmente rivestita con foglie d’oro, con in cima una fenice di bronzo. Sopravvissuto alla Guerra di Onin (1467-1477), andò distrutto in un incendio doloso appiccato da un monaco nel 1950, un incidente che Yukio Mishima (三島 由紀夫) tradusse in prosa nel suo famoso “Il padiglione d'oro”, edito in Italia da Feltrinelli. L’edifico, ricostruito nel 1955, dovrebbe essere la copia esatta, sebbene i critici sostengono che la lamina d’oro di rivestimento sia più chiara e più estesa rispetto all’originale, soprattutto in seguito all’intervento di restauro negli anni ’90. Gli spazi interni ahimè non sono accessibili al pubblico e custodiscono le statue del Shaka Buddha e di Yoshimitsu, che si riflettono nello stagno quando le finestre anteriori sono aperte, e al secondo livello una statua dedicata a Kannon, la dea della misericordia.


Scattata una marea di foto e visitato il parco ammirando in tutta la sua bellezza questa splendida struttura, ci siamo incamminati per le viuzze di Kyoto alla volta del Santuario di Hirano (平野神社 Hirano-jinja), conosciuto e popolare per i suoi giardini e i molti alberi, in particolare quelli di ciliegio. Fondato nell’anno 794 dall’imperatore Kammu (桓武天皇) quando la capitale fu trasferita a Kyōto da Nagaoka, fin dai primi anni il santuario è stato visitato frequentemente dai membri della famiglia imperiale e divenne oggetto del mecenatismo imperiale all’inizio del periodo Heian (794-1185). Il santuario è però essenzialmente sinonimo di hanami (花見 letteralmente “guardare i fiori”): infatti qua si celebra il rito dell’ammirare i fiori di ciliegio ogni anno dal 985. La lunga storia delle feste nel santuario è iniziata durante il regno dell’imperatore Kazan (花山天皇) ed è diventata la più antica festa che si tiene regolarmente a Kyōto. Ogni anno, il festival inizia al mattino con una cerimonia nel mausoleo dell’ex-imperatore e prosegue fino al pomeriggio con una processione che si sposta dal santuario all’area vicina.

Dopo tanti “oooh!” e troppe foto, in pochi minuti abbiamo raggiunto il Santuario Kitano Tenmangū (北野天満宮) dedicato al dio della conoscenza e della calligrafia, l’acclamato studioso giapponese Sugawara no Michizane (天神, Tenjin), che ha protetto questo santuario fin dalla sua fondazione nel 947. È un luogo molto popolare tra gli studenti locali, che vengono qui in visita per chiedere al dio di superare gli esami e prendere voti alti. I bordi della grande porta sono fiancheggiati da due mucche di bronzo. La leggenda vuole che, se le strofini, avrai successo negli studi. Non a caso, la testa e la schiena sono diventate lucide e dorate a forza di essere strofinate. Una volta al mese, il 25, nelle strade che circondano il santuario si svolge dalle 6 alle 21 il mercato delle pulci di Tenjin-san, dove si possono trovare offerte di vari articoli locali e specializzati, tra cui kimono d’epoca e oggetti d’antiquariato.


Oramai si stava facendo sera, ma nel tornare verso casa abbiamo fatto una piccola deviazione per passeggiare lungo una via affollata di strane creature, piccoli mostri esposti fuori dai negozi e immagini di esseri sovrannaturali, la Yōkai Street (妖怪ストリット), traducibile approssimativamente come “la strada dei mostri”, un tratto di Ichijō-dōri (一条通) la cui fama risale a un episodio leggendario del periodo Heian (794-1185). All’epoca Ichijō-dōri era il confine più settentrionale di Heian-kyō (平安京, letteralmente “Capitale della pace e tranquillità”), il limite tra mondo umano e sovrannaturale, e la leggenda narra che una notte i vecchi oggetti gettati via dagli uomini abbiano preso vita sotto forma di yōkai, penetrando nella Capitale proprio attraverso Ichijō-dōri durante la Parata Notturna dei Cento Demoni (百鬼夜行, Hyakki yagyō o Hyakki yakō). Questo episodio ha ispirato un gran numero di opere d’arte e, a perenne ricordo, su questo tratto di strada ogni anno il terzo sabato di ottobre centinaia di persone travestite riproducono la terrificante parata, sfilando per le vie del quartiere. Sul sito ufficiale si possono trovare tante informazioni utili nonché il calendario degli eventi in programma.

Anche questa magnifica giornata era giunta al temine col suo bagaglio di emozioni: sul mio letto riguardo le foto scattate durante il giorno e non mi accorgo che sto già dormendo. Vorrei vederle e rivederle ancora e ancora per fissa ogni momento nella mia mente, ma so bene che le pile vanno ricaricante al massimo per essere pronti ad affrontare il nuovo giorno e le nuove avventure che si sarebbero svelate al mio risveglio. Per cui lascio tutto e sprofondo nel sonno, ma conservando un piccolo sorriso sulle labbra.

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