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Dieci anni fa il disastro di Fukushima

A Iwaki, prefettura di Fukushima, Mariko Odawara (50) di Sapporo come ogni anno prega per piangere le vittime del terremoto e dello tsunami | Foto: REUTERS / Kim Kyung-Hoon

Sono passati 10 anni da quando alle 14:46 (le 6:46 in Italia) dell’11 marzo 2011 a 70 chilometri della costa della regione di Tōhoku (東北地方 Tōhoku-chihō), nel Giappone settentrionale, si verificava una scossa di terremoto di magnitudo 9, il sisma più potente mai misurato in Giappone e il quarto a livello mondiale. Il terremoto, il cui ipocentro era situato in mare alla profondità di 29 chilometri circa, provocò l’innalzamento del livello dell’oceano Pacifico di oltre un metro e innescò un violentissimo tsunami con onde alte fino a 15 metri. L’acqua travolse tutto quello che incontrava, compresa la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi (福島第一原子力発電所 Fukushima Dai-ichi genshiryoku hatsudensho), mettendo fuori uso i generatori di emergenza che alimentavano i sistemi di raffreddamento di tre dei suoi quattro reattori: di conseguenza, i noccioli in essi contenuti si sciolsero e innescarono diverse esplosioni, che distrussero parzialmente la struttura.

In base ai dati ufficiali della Agenzia Nazionale di Polizia (警察庁 Keisatsu-chō), 15.900 persone sono morte durante il disastro, prevalentemente durante lo tsunami, mentre 2.525 risultano ancora disperse. 

Oggi, durante il memoriale organizzato al Teatro Nazionale di Tōkyō, in presenza dell’Imperatore Naruhito (徳仁) e la consorte Kōgō Masako (皇后雅子), il premier Suga Yoshihide (菅 義偉) ha rilasciato un messaggio di speranza, mentre le sirene suonavano lungo i litorali della regione del Tōkoku, luogo del disastro.

La centrale di Fukushima Daichi | Foto: Ipa

Forse ai più non è noto, tuttavia l’evento produsse effetti clamorosi: Honshū (本州 lett. “Provincia principale”), l’isola principale del Giappone, fu spostata di circa 2 metri e mezzo verso est e, secondo le stime, anche la Terra si spostò tra 10 e 25 cm sul suo asse, aumentando la velocità di rotazione del pianeta di 1,8 microsecondi al giorno.
L’altra faccia di queste cifre macroscopiche sono le microstorie che raccontano cicatrici ancora dolorose, come quelle delle piccole città nel nord-est del Giappone che furono completamente evacuata all’indomani del disastro nucleare di Fukushima e che ancora oggi faticano a rinascere. Nei mesi successivi al disastro, infatti, era stata creata una zona “off-limits” che si estendeva per più di 1.650 chilometri quadrati (pari al 12% dell’intera Prefettura di Fukushima (福島県 Fukushima-ken). La devastazione causata dallo tsunami e il pericolo delle radiazioni hanno costretto alla fuga, per necessità o per scelta, circa 470mila persone, di cui 170mila provenienti dalla sola città di Fukushima (福島市 Fukushima-shi). Negli ultimi anni, dopo un intenso lavoro di decontaminazione, molte aree sono state dichiarate nuovamente abitabili dalle autorità, ma molti degli sfollati di Fukushima sono riluttanti a tornare, nonostante gli incentivi dello Stato e gli affitti a buon mercato.

Anche il Comitato Scientifico dell’Onu ha dichiarato che le emissioni radioattive causate dall’incidente alla centrale nucleare non hanno più effetti dannosi sulla salute della popolazione locale. Rispetto al precedente rapporto, pubblicato nel 2013, “non è stato documentato alcun effetto dannoso per la salute degli abitanti di Fukushima che possa essere direttamente riconducibile all’esposizione alle radiazioni” ha sottolineato la presidente del Comitato Onu, Gillian Hirth. Il nuovo studio conferma a grandi linee i risultati del precedente, fornendo una valutazione più precisa e solida dei livelli e degli effetti delle radiazioni dovute all’incidente. Proprio da Fukushima dovrebbe infatti partire, il prossimo 25 marzo, la staffetta dei tedofori con la torcia olimpica in vista dei Giochi estivi: sembra proprio che il governo giapponese intende fare delle Olimpiadi una vetrina per mostrare al mondo che Fukushima si è risollevata dall’incidente nucleare.

C’è da dire che è stato fatto molto per mettere in sicurezza la regione e la situazione è da tempo ormai sotto controllo, anche se molti sostengono il contrario. Sta di fatto che in un’ampia regione attorno alla centrale sono stati rimossi i primi centimetri di terreno (ora stoccati nelle valli e nelle coste della prefettura). Le piscine della centrale sono state svuotate e le barre di combustibile sono state rimosse. I reattori sono stati messi in sicurezza con nuove coperture in cemento armato. Il nocciolo viene costantemente raffreddato pompandovi acqua che successivamente viene depurata dal cesio e stoccata in grandi silos nei dintorni della struttura.
Non sono però ancora cominciati i lavori di smantellamento delle strutture danneggiate dei due siti. Secondo le stime della Tōkyō Electric Power Company (東京電力株式会社 Tōkyō Denryoku Kabushiki-gaisha) che gestisce i lavori serviranno 30 anni e 76 miliardi di dollari per recuperare il combustibile nucleare inutilizzato, ma anche rimuovere i detriti fusi, demolire i reattori ed eliminare l’acqua di raffreddamento contaminata. Probabilmente ne serviranno molti di più.

La zona “No-Go” | Foto: Ipa

Più di 30.000 miliardi di yen (232 miliardi di euro) sono stati spesi in progetti di ricomposizione del territorio negli ultimi 10 anni: l’urgenza di ricostruire è stata potente e ci sono aree dove non è rimasta pressoché alcuna traccia della devastazione del 2011. Eppure decine di migliaia di persone non sono tornate, svuotando città che stavano già lottando per sopravvivere all’emigrazione delle giovani generazioni verso Tōkyō (東京) e le altre megalopoli. La paura delle radiazioni persiste: le sfide per tornare alla normalità sono tante e davvero immense.

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