Le genti dolomitiche possiedono uno dei più noti corpus di fiabe, miti e racconti popolarti. Questo ricco patrimonio formula il nucleo della raccolta di leggende dolomitiche pubblicata per la prima volta da Karl Felix Wolff nel 1905 con il titolo “I Monti Pallidi”. Il matriarcato è tema ricorrente in queste narrazioni, in cui sono infatti soprattutto le donne a prendere le decisioni e a determinare il corso degli eventi. C’è Dolasilla, la guerriera forte e infallibile. E ci sono Moltina, Tanna, Samblana, Soreghina, Luianta: protagoniste sono sempre le donne, anche in ruoli di volta in volta diversi. Gli uomini riesco a distruggere questa simbiosi del femminile con gli elementi naturali solo attraverso la violenza. Quando poi le donne si uniscono agli uomini, alla fine la vicenda sfoca quasi sempre in tragedia. E alle donne non rimane altro che rifugiarsi nella natura, il mondo da cui provengono e dove tornano ad essere felici. Nel momento in cui le figure femminili ritornano alla natura, essa sa sempre offrire loro protezione.
Le leggendo dolomitiche che ancora aggi più affascinano sono però soprattutto quelle che parlano di erbe, piante e fiori.
Le nozze di Marisana, la Regina dei larici
La regina Marisana aveva tutto ciò che può desiderare. Eppure, la tormentava il pensiero delle tante creature in condizioni di infelicità o di sofferenza. Uno giorno, il “Réy de Ràyes”, il Re dei raggi, incontrò la graziosa fanciulla e se ne innamorò. Ella volle tuttavia porre una condizione: “Prima che si celebrino le nozze, tutti gli esseri viventi devono essere felici. Nessuno dovrà più soffrire, nessun albero potrà essere abbattuto e nessun animale ucciso”. Il Re dei raggi fu profondamente turbato e chiese ai sui saggi consiglieri se ciò fosse possibile. Essi negarono. Marisana dovette quindi rinunciare a questa sua prima richiesta e chiese allora che tutti gli esseri viventi potessero essere felici almeno il giorno delle sue nozze. Ma anche questa condizione si rivelò impossibile da realizzare. Marisana ne fu rattristata: “Neppure un solo giorno”, sospirò. “Pensavo che fosse il minimo”. Ella acconsentì infine a che tutti fossero felici almeno al momento delle sue nozze: uomini e animali, alberi e fiori. Il Re dei raggi sperò di riuscire a soddisfare questa condizione e, in effetti, tutti gli esseri ricevettero la notizia di sospendere qualsiasi dolore o qualsiasi afflizione a mezzodì del giorno delle nozze. Tutti lodarono la fanciulla per la sua bontà d’animo e, in segno di riconoscenza, recarono i mazzi e le corolle di fiori più belli che si potessero immaginare. Marisana pensò di creare con questi doni qualcosa di significativo e decise di realizzare un albero nuovo. Nacque così il larice. Poiché però l’albero non sarebbe stato ancora in grado di sopravvivere, Marisana lo avvolse nel suo velo da sposa fatto di un tessuto leggero e di colore verde chiaro e luminoso. L’alberò iniziò subito a germogliare, e tutti si meravigliarono delle sue particolari caratteristiche. In effetti, il larice è il più singolare degli alberi: dapprincipio appare come un’aghifoglia, ma in autunno gli aghi ingialliscono e cadono, proprio come accade per il fogliame delle latifoglie. Quando però si risveglia a primavera, il larice assume l’aspetto di un velo verde, e agli apici dei rami si riconosce con chiarezza la trama del velo da sposa.
Moltina, la regina delle marmotte
Moltina crebbe a Prato Piazza in compagnia delle marmotte e imparò persino ad assumerne l’aspetto. Un giorno si innamorò del principe dei Landrins e lo seguì nel suo castello. Quando le venne chiesto da dove provenisse, Moltina si trovò in forte imbarazzo e, in quello stesso momento, la Croda Rossa di colorò di rosso. Non vista, Moltina si trasformò in marmotta, ma il principe andò a cercarla, la trovò e rimase con lei.
Il Catinaccio
In tempi antichissimi, sulle Dolomiti regnava Laurino, re del popolo dei nani. Egli possedeva inestimabili tesori, il più speciale dei quali era una coppa capace di renderlo invincibile. Laurino era molto orgoglioso del suo meraviglioso gridino fiorito traboccante di rose cinto da un filo di seta dorata (Rosengarten, il nome tedesco del Catinaccio, significa “giardino di rose”). Un giorno, il re conobbe la bellissima principessa Similde. Se ne innamorò e, con l’aiuto della sua coppa magica, la rapì. Ma Similde era sempre molto triste. Un giorno Teodorico, il re dei Goti, si spinse nella regione con i suoi cavalieri. Gli uomini rimasero meravigliati alla vista del bellissimo giardino delimitato dal filo di seta dorata, che tuttavia lacerarono per calpestare e distruggere le rose. Indignato, Laurino balzò fuori e iniziò così una lotta impari. In un primo momento, Laurino riuscì a difendersi nascondendosi sotto la sua coppa magica, che però gli venne strappata: ben presto si trovò inerme al suolo, supplicando di risparmiarlo. La principessa Similde venne liberata. Ma la formula magica pronunciata dal re in catene cancellò per sempre il giardino delle rose. Né il giorno luminoso né la notto oscura avrebbero mai rivisto lo splendore delle rose. Al posto dei fiori, solamente pallide rocce. Ma Laurino aveva dimenticato il crepuscolo, quel momento che separa il giorno dalla notte. Accade così che, al calar del sole, i Monti Pallidi risplendano e si infiammino di meravigliose sfumature rosse.
Testo di Michael Wachtler, tratto da “Almanacco 3 Cime/3 Zinnen Dolomiti” numero 50
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