Il 15 giugno 2022 è uscito un bellissimo articolo firmato da Vanni Santoni dal titolo I manga hanno conquistato il mercato editoriale, che ben descrive lo straordinario successo che i fumetti giapponesi stanno vivendo da più anni a questa parte: hanno invaso le classifiche della narrativa straniera e sono decenni che influenzano il gusto di un pubblico sempre più vasto nonché lo stile dei più importanti fumettisti italiani.
Da lettore e appassionato del genere non ho potuto condividere quanto scritto: sempre più giovani e meno giovani aprono gli occhi su temi particolarmente d’attualità che il manga esplora da decenni, con dovizia di autori e personaggi (il che spiega molto del successo planetario), come le questioni di genere, la memoria storica e l’inclusività culturale, i percorsi di scienza e fantascienza, lo storytelling dall’universale al particolare, lo stile e la moda, il design urbano.
Che dire, non mi dilungo oltre e vi lascio qui di seguito l'articolo. Per i commenti ci sentiamo a fine pagina.
L’attacco dei giganti 1 di Hajime Isayama e Demon slayer.
(Shingeki No Kyojin © Hajime Isayama/Kodansha Ltd., Panini Comics)
Tre settimane fa, il numero 19 di Demon Slayer, shōnen manga (fumetto d’azione giapponese pensato per un pubblico adolescente e preadolescente) scritto e disegnato da Koyoharu Gotōge e pubblicato in Italia da Star Comics, ha debuttato nella classifica dei best seller direttamente al primo posto. Una settimana più tardi, manteneva ancora il primo posto nella classifica di narrativa straniera. È ancora sesto questa settimana, e in classifica sono arrivati altri due manga: Tokyo Revengers di Ken Wakui, al terzo posto, e Dragon Ball ultimate edition di Akira Toriyama, all’undicesimo.
Si tratta di una tendenza nuova ma non nuovissima. È infatti dalla seconda metà del 2021 che titoli e autori per lo più sconosciuti ai lettori di narrativa straniera, ma notissimi a chi segue il fumetto giapponese, hanno cominciato a spuntare nelle classifiche di vendita, fino a scalarle.
Nella prima settimana del settembre 2021, l’edizione speciale del numero 98 di One Piece di Eiichirō Oda, pure edito da Star Comics, si era presa il primo posto della classifica di narrativa straniera, davanti al romanzo bestseller Tre di Valérie Perrin (Edizioni e/o). Al terzo posto c’era il numero 14 di Dragon Ball Super, di Akira Toriyama e Toyotarō (sempre Star), mentre al settimo trovavamo il sesto numero di Tokyo Revengers di Ken Wakui (J-Pop). Andando un po’ più giù, spuntavano diversi titoli Planet Manga, marchio della Panini dedicato al fumetto giapponese, come L’attacco dei giganti di Hajime Isayama o la ristampa di Slam Dunk, capolavoro di Takehiko Inoue. Una tendenza che da allora non si è più fermata e anzi ha conquistato anche la classifica della cosiddetta varia, dove non mancano mai, tra i titoli Planet, Jujutsu Kaisen di Gege Akutami, Chainsaw Man di Tatsuki Fujimoto e My Hero Academia di Kōhei Horikoshi (Star). Una conquista stabile e inesorabile – negli ultimi sei mesi è capitato spesso che i titoli manga occupassero più di metà della top ten di straniera e la quasi totalità di quella di varia –, inizialmente passata in sordina e poi vista con sconcerto da molti operatori dell’editoria non fumettistica italiana.
Per comprendere cosa sia successo bisogna capire che in Italia i manga hanno sempre venduto tanto. Per dare il senso delle proporzioni, si ricorderà che Dragon Ball, il capostipite degli shōnen moderni, vendeva centomila copie a numero già negli anni novanta e l’edizione “Deluxe”, pubblicata tra il 1998 e il 2001, arrivava a centocinquantamila; One Piece, il suo successore più diretto insieme al Naruto di Masashi Kishimoto, ha venduto in Italia più di diciotto milioni di copie (spalmate su cento uscite).
Quello che è cambiato non è quindi il venduto in sé dei fumetti giapponesi, ma il luogo primario in cui sono acquistati dai lettori. La crisi delle edicole, che nel 2001 erano quarantamila in tutto il paese e oggi sono meno di quindicimila, ha portato i lettori di manga a rifornirsi sempre più spesso in libreria e in fumetteria (vale la pena di notare che queste ultime non sono incluse nelle classifiche Nielsen e GFK, quindi il venduto reale dei manga è comunque sottostimato), un processo che è stato agevolato dal parallelo aumento dello spazio a loro dato sugli scaffali, in particolare nelle librerie di catena come le Feltrinelli.
Mondadori e Star Comics
Il fumetto vende bene in generale – il settore è cresciuto del 175 per cento nel triennio 2019-2021 –, anche se tra gli autori italiani solo Zero-calcare registra numeri paragonabili a quelli dei giapponesi, tant’è che alle case editrici veterane nel campo dei graphic novel, come Coconino, Rizzoli Lizard, Bao o Tunué, si sono affiancati diversi marchi nuovi, come Eris o Oblomov, fondata dallo stesso Igort di Coconino, ma anche altri emanati da case editrici prima lontane dal mondo del fumetto. La stessa Feltrinelli, con il marchio Feltrinelli Comics diretto da Tito Faraci, ha deciso di muoversi in prima persona in questo settore, e recentemente le hanno fatto seguito Laterza e minimum fax. Lo scorso 6 giugno, infine, il Gruppo Mondadori ha annunciato l’acquisizione del 51 per cento della Star Comics.
L’esplosione del fumetto nei vasti spazi delle librerie di catena ha permesso a queste ultime di esprimere un ulteriore vantaggio rispetto all’edicola: la possibilità di tenere in distribuzione tutti i numeri di ogni serie, alimentando così le vendite generali anche al di fuori della contingenza dell’uscita di un nuovo volumetto. Sì perché, pur esistendo una ricca tradizione di graphic novel giapponesi (pubblicati però dalle case editrici specializzate in romanzi grafici, come Coconino e Oblomov), i manga che hanno conquistato le classifiche sono tutti seriali. Il vantaggio, rispetto a un romanzo di narrativa straniera che arriva una sola volta sul mercato, è evidente. A questo si aggiunge il prezzo. Un volumetto manga, ancorché venduto in libreria, ha un prezzo da fumetto popolare, o quasi: Demon Slayer 19, solo per citare il recente conquistatore della classifica, costa 4,50 euro, un quarto rispetto a un volume rilegato e almeno un terzo rispetto a uno in brossura. Si capisce, allora, che esiste anche un problema di organizzazione nelle classifiche, peraltro confermato dalla confusione tra narrativa straniera e varia, frutto di categorizzazioni merceologiche delle singole collane che non riflettono differenze di contenuto: Jujutsu Kaisen o My Hero Academia, solo per citare due esempi, sono shōnen manga al pari di Demon Slayer o One Piece.
Capolavoro e prodotto medio
Al netto di ogni tassonomia e ragione tecnica, ciò che non viene mai detto è che molti di questi fumetti sono capolavori. Opere arrivate in classifica con le loro ristampe, come Slam Dunk, Dragon Ball (l’originale, non il “Super”) o a pubblicazione in corso, come L’attacco dei giganti o One Piece, sono sotto ogni punto di vista opere molto più significative della maggior parte dei romanzi di cui hanno preso il posto. Certo, ci sono anche opere medie, firmate da onesti mestieranti della scrittura (sia pure abilissimi nel disegno) come My Hero Academia o Demon Slayer, ma l’esistenza dei primi è di fatto inscindibile da quella dei secondi.
I manga sono i veri feuilleton di oggi. Non solo perché seriali, ma anche per specifiche caratteristiche narratologiche: per esempio il ricorrere di determinati moduli e “dispositivi”, con i capolavori che emergono periodicamente sopra un mare di produzioni medie immesse costantemente sul mercato da un’industria che funziona in modo molto diverso rispetto a quelle dei fumetti occidentali. I mangaka (ovvero gli autori di fumetti giapponesi) lavorano fin dall’inizio con un editor e una squadra di assistenti forniti dalla casa editrice, con l’obiettivo di creare un prodotto seriale che piaccia al pubblico e si presti, nella migliore delle ipotesi, a diventare un franchise come i vari Dragon Ball, Naruto o One Piece, le cui emanazioni, tra serie a cartoni animati, film, videogiochi e giochi di carte, sono ormai innumerevoli. Il fumetto non esce subito in tankōbon, ovvero in volumetto, ma trova un primo banco di prova nella pubblicazione su riviste-contenitore – la più famosa è Shōnen Jump – in puntate di una ventina di pagine in diretta concorrenza con gli altri titoli. Ogni settimana i lettori votano i loro preferiti attraverso moduli specifici: chi viene votato continuerà a pubblicare; chi perde colpi viene invitato dagli editor a trovare delle svolte narrative. Si deve a questo aspetto, per esempio, il curioso mix di umorismo, avventura e combattimento del primo Dragon Ball: l’autore Toriyama avrebbe voluto fare un manga umoristico-avventuroso, ma ogni volta che andava in quella direzione, il gradimento calava e gli editor lo spingevano a mettere altri scontri, più apprezzati dal pubblico. Quelli che, infine, languono in fondo alla classifica per alcune settimane consecutive, vengono invitati a trovare una rapida conclusione per la loro opera e allontanati. Un sistema severo, pieno di storture. Oltre a quello dei fumetti costretti a chiudere anzitempo, c’è il problema opposto di quelli rovinati dalla costrizione a continuare: gli stessi Dragon Ball e Naruto ne sono esempio: capolavori nella prima fase della loro vita, si sono poi persi per strada, vuoi per continue ripetizioni, vuoi per il tradimento delle proprie basi narrative, a causa di un successo che costringeva gli autori a procedere a oltranza.
Chi volesse approfondire questi meccanismi troverà un manga che li racconta nel dettaglio: Bakuman di Ōba & Obata (gli stessi autori di quel Death Note recentemente arrivato in classifica con la sua ristampa) spiega il funzionamento dell’industria giapponese del fumetto, ma anche la sua capacità, grazie a un sistema così strutturato, di continuare a sfornare opere capaci di colpire in modo decisivo l’immaginario globale.
L’impatto dei manga in Italia, però, è una storia a sé, che precede la loro affermazione nel resto del mondo. Per cominciare, il nostro è l’unico paese in cui gli anime – quelli che chiamavamo “cartoni animati giapponesi” e che quasi sempre sono tratti da una corrispondente serie manga – sono sbarcati in massa già all’inizio degli anni ottanta. La proliferazione delle reti televisive locali, che cercavano contenuti da acquistare in blocco con cui riempire i palinsesti, unita a una passione tutta italiana cominciata col successo dei “robottoni” Goldrake e Mazinga alla fine degli anni settanta, condusse all’importazione, unica al mondo, di quasi tutti i titoli a cartoni animati prodotti in Giappone nei due decenni precedenti. Così, se altrove in occidente titoli come Ken il guerriero, Lady Oscar, I cavalieri dello zodiaco, Lamù, L’uomo tigre o Lupin III sono roba da appassionati, riscoperta e distribuita prima in dvd e poi in streaming dopo il successo globale di Dragon Ball, da noi sono classici noti in ogni famiglia, condivisi almeno da due generazioni di telespettatori.
Fu in questo contesto che si mossero i pionieri dell’importazione dei fumetti giapponesi, anch’essa avvenuta prima dell’esplosione dei manga a livello globale. Una storia che comincia nel 1989 a Bologna, con la Granata Press fondata da Luigi Bernardi e con la fanzine Mangazine ideata dai “Kappa boys” Andrea Baricordi, Massimiliano De Giovanni, Andrea Pietroni e Barbara Rossi, e pubblicata, dopo cinque numeri autoprodotti, dalla stessa Granata Press come rivista da edicola. Su Mangazine e sull’altra rivista-contenitore di Granata, Zero, nei primi anni novanta uscirono fumetti decisivi come Baoh, Patlabor, Sanctuary, Lamù, Ranma ½ o ancora Ken il guerriero, poi lanciato anche in volumetti singoli.
Dal 1992, Star Comics cominciò una collaborazione con i Kappa Boys che portò alla nascita di Kappa Magazine, un’altra rivista-contenitore sul modello di Shōnen Jump, e all’arrivo in edicola in serie autonoma di titoli come Oh mia dea! di Kosuke Fujishima o Le bizzarre avventure di Jojo di Hirohiko Araki, entrambi frutto di trattative dirette con le case editrici Kōdansha e Shūeisha, leader del mercato in Giappone.
Nel 1995, sempre per Star Comics, arrivò in Italia anche Dragon Ball, primo fumetto giapponese a essere pubblicato senza il ribaltamento delle tavole necessario a una lettura “all’occidentale”, i manga infatti si leggono “al contrario”, ovvero da destra a sinistra. Il successo fu istantaneo, a nessuno diede fastidio leggere da destra e sinistra e si entrò così in quella lunga stagione del manga tradotto in italiano che continua tutt’oggi.
Il nostro fumetto mostra del resto un’influenza ormai consolidata da parte dei manga: pensiamo solo ad autori italiani di successo tanto diversi tra loro quanto possono esserlo Sio, Fumettibrutti, Zero-calcare o Mirka Arnolfo, e al loro uso di alcune modalità espressive, come quelle delle emozioni dei personaggi. Siamo ben lontani dal formato espressivo classico della “scuola italiana”, che del resto cominciava a essere contaminata dal Giappone già dai tempi del bonelliano Nathan Never di Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna. Oggi questa lunghissima luna di miele dei lettori italiani con il fumetto giapponese trova una conferma definitiva nelle classifiche di vendita dei libri, ma questo non stupisce l’appassionato: è solo uno degli effetti della sua maturità. Una maturità che dovrebbe, anzi, dare origine ad altre riflessioni. Per esempio, l’istituzione di classifiche dedicate al fumetto, da affiancare a quelle di narrativa, saggistica e varia. Perché è giusto che i romanzi se la vedano con i romanzi; perché questo fortunato momento della cosiddetta nona arte, che non riguarda solo i manga, merita riconoscimento e distinzione; perché, infine, un tale diritto i fumetti se lo sono guadagnati sul campo, conquistando le classifiche altrui.
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