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Le acque di Dio

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Il 26 gennaio scorso sul sito de ilPost.it nella sezione Storie/Idee è uscito un bel trafiletto dal titolo Il senso del Giappone per l’acqua, dove in modo semplice ma chiaro Flavio Parisi spiega che: «Stando qui si ha la strana percezione che questo elemento non manchi mai, quasi fosse una risorsa pressoché infinita. Ogni sera tutti vogliono fare il bagno caldo, quindi a casa si riempie la vasca che verrà usata a turno dai membri della famiglia dopo una doccia completa perché è obbligatorio immergersi già completamente lavati. Che l’acqua non manchi si nota anche dal tipo di coltivazione più diffusa: le risaie inondate con un sistema di canaline e popolate da ranocchie, aironi e piccoli pesci. Come in un allineamento astrale fortuito, l’acqua è presente in dosi massicce anche negli altri suoi stati: un fatto poco noto è che il Giappone è il paese più nevoso del mondo».

L’acqua e il Giappone hanno davvero un legame speciale e a dimostrazione di questo basti pensare che nel parlato gli stati dell’acqua sono ben quattro:
  • koori, ghiaccio;
  • mizu, acqua fredda (o a temperatura ambiente);
  • yu, acqua calda (spesso indicata come お湯 oyu);
  • 水蒸気 suijouki, vapore acqueo.
Quando si parla dell’acqua calda, ovvero quella del bagno, delle onsen o più semplicemente di quella della pentola, come detto normalmente si userà il termine お湯 oyu. Tutti noi abbiamo però imparato a vede scritto in grande l’hiragana ゆ yu sul noren (暖 簾), la tenda corta all’ingresso delle onsen (温泉, sorgenti termali) o del sentō (銭湯, bagno pubblico): ebbe questo simbolo fa proprio riferimento all’acqua calda, indicata con “yu”, in una scrittura più comprensibile anche per i bambini. Curioso, no?

Ebbene, dopo aver letto questo articolo di Parisi mi è subito tornato alla mente uno scritto del Card. Gianfranco Ravasi, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, presente come introduzione al calendario della Banca Popolare di Sondrio del 2024, intitolato Le acque di Dio.
Il testo è un chiaro richiamo al libro intitolato Le sorgenti di Dio. Il mistero dell’acqua tra parola e immagine (2005, Edizioni San Paolo) dove, con prosa agile ed efficace, mons. Ravasi ripercorre il tema dell’acqua all’interno del testo biblico, passando in rassegna mari, fiumi, pozzi, immagini e simboli dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ne emerge un quadro affascinante che, oltre alla dimensione estetica, lascia trasparire la profonda ispirazione spirituale che il tema ha in tutta la tradizione cristiana.

Vi lascio di seguito la trascrizione di questo scritto. Con l’augurio di una buona lettura, ci vediamo poi nei commenti a fine pagina 😊

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Le acque di Dio.

È la sostanza principale che costituisce il nostro corpo (oltre il 65%) e quello degli altri esseri viventi. Anche il nostro pianeta ha il 73% circa della sua superficie coperto d’acqua, con un volume calcolato attorno ai due miliardi di chilometri cubi. Oceani, mari, laghi, sorgenti ne sono l’attestazione più visibile è immediata, ma l’acqua scorre anche nel sottosuolo coi pozzi artesiani, le falde freatiche, i fiumi carsici. Ricopre coi ghiacciai e i nevai non solo le calotte polari, ma anche molte vette dei monti ed è persino cristallizzata in alcuni minerali e rocce. Sopra di noi veleggia nelle nubi, divenendo pioggia ed è vapore nell’atmosfera.

Due immensi serbatoi

All’acqua, al suo inquinamento e spreco, alla sua disponibilità per i popoli, alla sua mancanza drammatica o all’«iniquità» del suo possesso, papa Francesco dedica un capitoletto intero quasi in apertura alla sua enciclica Laudato si’ (2015), intitolato «La questione dell’acqua» (nn. 27-31). Basterà citare solo questo paragrafo: «L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani... Negarne l’accesso significa negare il diritto alla vita» (n. 30).
Il noto saggio Le guerre dell’acqua (2003) della fisica ed economista indiana Vandana Shiva, fautrice dello sviluppo eco-sostenibile e della biodiversità, si apre con alcuni versi di un antico inno del Rig-Veda, uno dei testi sacri capitali dell’induismo: «Acque, siete voi a darci la forza della vita. Aiutateci a trovare nutrimento così che ci tocchi grande gioia. Partecipiamo alla suprema delizia della vostra linfa vitale, come foste madri affettuose e, così, procediamo spediti verso la casa di Colui per il quale voi acque ci date vita e ci mettete al mondo». Il simbolo dell’acqua appartiene, infatti, a tutte le civiltà e a tutte le religioni. Per noi occidentali il pensiero corre spontaneamente alla stupenda ed essenziale celebrazione dell’acqua che San Francesco fa nel suo Cantico delle creature attraverso quattro aggettivi limpidi e intensi: «Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua, la quale è molto utile et humile et preziosa et casta».
Proponiamo, allora, un approccio particolare a questo tema, andando oltre il suo rilievo scientifico, sociale, culturale, soprattutto in questa nostra fase storica segnata dal mutamento climatico.
Noi, invece, getteremo uno sguardo panoramico sulle acque che bagnano le pagine bibliche ricordando che le Sacre Scritture sono anche il «grande codice» della nostra civiltà occidentale. Staremo quasi su un ideale promontorio roccioso e contempleremo dall’alto questa distesa che si allarga all’origine stessa della creazione, quando nel secondo giorno della settimana simbolica del capitolo 7 della Genesi, Dio dice: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque. Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno» (7,6-8).
La concezione cosmologica sottesa suppone due ambiti idrici. In alto si stende la calotta solida (raqia’) del «firmamento»: così allora era concepito il cielo, quasi fosse una sorta di cupola celeste, simile anche a una tenda con fessure. È come se fosse un serbatoio immenso d’acqua che viene da Dio regolato con le emissioni di pioggia attraverso quelle feritoie. Sulla superficie terrestre si raccolgono, invece, le acque dei mari, dei laghi e dei fiumi, alle quali il Creatore impone un confine: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto» (1,9). Siamo, quindi, in presenza di due enormi serbatoi o bacini idrici. Un cenno merita, però, un altro versetto iniziale del capitolo 7 della Genesi.
È il versetto 2: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Siamo ancora prima della creazione della luce e delle acque, eppure ecco apparire lo «Spirito» (rûah) divino, un vocabolo che, di per sé, in ebraico può indicare anche il «vento» fortissimo che imperversa sulle acque caotiche dell’abisso, simbolo del nulla che precede la creazione. Ma è più probabile che l’autore sacro voglia rappresentare lo Spirito divino creatore che irrompe proprio sul nulla, raffigurato dalle acque tumultuose, dando origine al creato. Avremo, infatti, occasione di vedere come le «grandi acque», soprattutto marine, possano essere un segno negativo che il Creatore domina, tutelando il creato dalla distruzione (si pensi al diluvio). In questo versetto si ribadisce, perciò, la signoria di Dio che cancella il nulla e dà l’avvio al creato.

Il filo d’acqua che intride la Bibbia

Un panorama assolato, una steppa arida, un’oasi verdeggiante incastonata in una valle, una pista che si dipana negli spazi solitari, qualche raro albero e cespuglio: può sembrare uno stereotipo paesaggistico orientale, ma è effettivamente questo l’habitat prevalente dell’uomo della Bibbia ed è così che l’acqua costituisce, ieri e oggi, il cardine dei desideri e delle contese, l’archetipo dei simboli e delle idee del nomade e del sedentario. La parola majîm, «acqua», risuona oltre 580 volte nell’Antico Testamento, come l’equivalente greco hydor ritorna un’ottantina di volte nel Nuovo (metà di queste occorrenze sono nel solo Vangelo di Giovanni).
Circa 1.500 versetti dell’Antico e oltre 430 del Nuovo Testamento sono «intrisi» d’acqua, perché oltre ai vocaboli citati c’è una vera e propria costellazione di realtà che ruotano attorno questo elemento così prezioso, a partire dal pericoloso jam, il «mare», o dal più domestico Giordano, passando attraverso le piogge (con nomi ebraici diversi, se autunnali, invernali o primaverili), la neve, la rugiada, le sorgenti, i fiumi, i torrenti, i canali, i pozzi, le cisterne, i serbatoi celesti, il diluvio, l’oceano e così via. Per non parlare poi dei verbi legati all’acqua come bere, abbeverare, aver sete, dissetare, versare, immergere (il «battezzare» nel greco neotestamentario), lavare, purificare...
Un filo d’acqua scorre, quindi, idealmente attraverso le pagine delle Sacre Scritture, testimoniando una sete ancestrale, legata a coordinate geografiche ed ecologiche segnate dall’aridità. Non per nulla la Bibbia che – come si è visto – si apre nel primo racconto della creazione con la creazione dell’acqua e con le piogge, subito dopo introduce nella seconda narrazione la canalizzazione delle sorgenti (Genesi 2,4-6) e si chiuderà con «un fiume d’acqua viva limpida come cristallo che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello» (Apocalisse 22,7). In mezzo c’è sempre l’ansiosa ricerca dell’acqua e la sete. Basti solo pensare a Israele nel deserto e al suo grido: «Dateci acqua da bere!» (Esodo 77,2), o alla siccità vista come una maledizione celeste pronunziata dal profeta in nome di Dio: «Per la vita del Signore, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto –minaccia Elia– non ci sarà né rugiada né pioggia se non quando dirò io» (1Re 77,7).
Geremia ci ha lasciato uno dei più vivaci e drammatici ritratti di questa piaga endemica del Vicino Oriente ma di cui diventiamo sempre più testimoni anche noi coi periodi di siccità: «I ricchi mandano i loro servi in cerca d’acqua; essi si recano ai pozzi ma non la trovano e tornano coi recipienti vuoti. Sono delusi e confusi e si coprono il capo. Per il terreno screpolato, perché non cade pioggia nel paese, gli agricoltori sono delusi e confusi. La cerva partorisce nei campi e abbandona il parto perché non c’è erba. Gli onagri si fermano sulle alture e aspirano l’aria come sciacalli; i loro occhi languiscono perché non si trovano erbaggi» (74,3 -6).
È per questo che, quando s’affacciano le nubi e cade la pioggia, si è convinti di ricevere una benedizione divina, come si legge o nel Deuteronomio: «Il Signore apre per te il suo benefico tesoro, il cielo, per dare alla tua terra la pioggia a suo tempo e per benedire tutto il lavoro delle tue mani» (28,12). Il Creatore, che è Padre di tutti, si preoccupa di ogni sua creatura prescindendo dal merito, come dirà Gesù: «Il Padre vostro celeste fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Matteo 5,45). E quando arriva la primavera con le sue piogge, il Salmista – in un dipinto poetico di straordinaria fragranza (65,10-14) – immagina che il Signore passi col suo carro delle acque «dissetando la terra, gonfiando i fiumi, irrigando i solchi, amalgamando le zolle, bagnando il terreno con la pioggia: al suo passaggio stilla l’abbondanza, stillano i pascoli del deserto... e tutto canta e grida di gioia».

L’acqua, simbolo spirituale

Proprio perché è al centro della esistenza fisica, l’acqua diventa un simbolo dei valori assoluti, della vita anche nella sua dimensione spirituale, della stessa trascendenza. Herman Melville in quel celebre e particolare «romanzo d’acqua» che è Moby Dick (1851) scriveva: «Perché gli antichi Persiani consideravano sacro il mare? Perché i Greci gli assegnarono un dio a sé, fratello di Giove, Posidone (Nettuno)? Certo tutto questo non è senza significato. E ancora più profondo è il senso della favola di Narciso che, non potendo afferrare la tormentosa, dolce immagine che vedeva nella fonte, vi si immerse e annegò. Ma quella stessa immagine anche noi la vediamo in tutti i fiumi e oceani. È l’immagine dell’inafferrabile fantasma della vita, e questa è la chiave di tutto».
La stessa chiave è, dunque, adottata anche nella Bibbia e secondo uno spettro molto variegato di significati, non solo positivi. Pensiamo solo al segno del diluvio che ha come base una catastrofe naturale causata forse da un’esondazione, che viene però riletto come atto giudiziario divino compiuto attraverso l’acqua (Genesi 6-9). Pensiamo anche allo stesso esodo nel Mar Rosso che si chiude come un sepolcro di morte sugli Egiziani oppressori (Esodo 14-15) o al citato jam, il «mare», che per Israele è il simbolo del caos, del nulla e persino del male. Per questo Cristo cammina sulle onde (Giovanni 6,16-21) e fa piombare i porci, animali impuri, nel mare e riesce a sostenere su quelle; eque anche il discepolo impaurito, Pietro (Matteo 14,24-31).
L’acqua è, però, prima di tutto e sopra tutto segno di vita e di trascendenza. Noi ora ci accontenteremo di mettere quasi in fila, in una sorta di elenco, alcuni dei tanti valori metaforici che le acque acquistano: esse, infatti, nella Bibbia non sono mai dolcemente contemplate come «chiare fresche dolci acque» alla maniera di Petrarca, ma sono celebrate come rimandi a realtà nascoste più alte. Così, l’acqua è per eccellenza simbolo di Dio, sorgente di vita. Basti solo evocare l’indimenticabile comparazione del profeta Geremia: «Essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate che non tengono l’acqua» (2,13). L’acqua è segno della Parola divina senza la quale si soffoca e si è aridi, come ribadiscono altri profeti: «Verranno giorni -dice il Signore- in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane né sete d’acqua, ma di ascoltare la parola del Signore... Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca» (Amos 8,11 e Isaia 55,10-11).
L’acqua è simbolo della Sapienza divina effusa in Israele, come canta un autore biblico del II sec. a.C., il Siracide: «Essa trabocca come il Tigri nella stagione dei frutti nuovi, fa dilagare l’intelligenza come l’Eufrate e come il Giordano nei giorni della mietitura, espande la dottrina come il Nilo, come il Ghihon nei giorni della vendemmia... lo sono come un canale derivante da un fiume e come un corso d’acqua sono uscita verso un giardino. Ho detto: Innaffierò il mio giardino e irrigherò la mia aiuola! Ed ecco il mio canale è divenuto un fiume e il mio fiume un mare» (24,23-2S.28- 29). L’acqua annunzia l’era messianica e la rinascita dell’umanità: «Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa; la terra bruciata diventerà una palude e il suolo riarso si muterà in sorgenti d’acqua» (Isaia 35,6-7).
Anzi, l’acqua diventa l’emblema di Cristo, come si intuisce nel celebre dialogo con la Samaritana: «Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà più sete, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Giovanni 4,14). È per questo che l’evangelista testimonia con insistenza che dal costato del Cristo crocifisso «uscì sangue e acqua» (19,34). E, come si intuisce nelle parole destinate alla donna di Samaria, l’acqua diventa anche il segno della vita nuova del credente nel quale è effuso lo Spirito di Dio. Gesù, durante la festa ebraica delle Capanne (che comprendeva proprio un rituale con l’acqua che veniva attinta con un’anfora d’oro dal sommo sacerdote alla piscina di Siloe), aveva esclamato: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui» (Giovanni 7,37-39). È un passo carico di valori spirituali espressi attraverso la densità simbolica dell’acqua.
L’acqua, allora, è immagine della vita nuova del fedele che con essa si purifica il cuore dal male («Lavami da tutte le mie colpe», Salmo 51,4), secondo quel rito lustrale che è presente in quasi tutte le culture religiose. Essa rappresenta, così, anche la rigenerazione interiore, destinata a dare frutti di giustizia: «Il giusto sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua; darà frutti a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai» (Salmo 1,3).
Ma l’acqua rimane soprattutto il simbolo supremo di quel Dio di cui l’uomo ha sempre sete ed è questa la costante preghiera di tutti coloro che cercano Dio con cuore sincero: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia [letteralmente «la mia gola»] ha sete di Dio, del Dio vivente... O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua...» (Salmo 42,2-3; 63,2). È per questo che l’invito ideale e universale è quello che rivolge a più riprese il profeta Isaia: «Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza... O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite...!» (12,3; 55,1).
È in questa linea che il sacramento fondamentale del cristiane­simo è il battesimo, un termine di origine greca che significa semplicemente “immersione”. Il fedele, come ricorda San Paolo nel capitolo 6 della sua Lettera ai Romani, entra da creatura «vecchia», segnata dal suo limite naturale, nel sepolcro d’acqua del fonte battesimale e ne esce - sul modello della risurrezione di Cristo come creatura nuova, figlio adottivo di Dio. L’acqua del battesimo non è, quindi, solo liberazione dal male e dalla nostra debolezza creatura le, ma è anche sorgente di vita nuova e di trasformazione interiore. Per questo il Cristo risorto ai suoi apostoli lascia questo mandato: «Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Matteo 28,19).
Possiamo, allora, concludere questa ideale navigazione nelle acque come simbolo religioso con un’intensa testimonianza tratta dal Diario di Etty Hillesum, una straordinaria figura di donna ebrea olandese, mistica e geniale, eliminata brutalmente dalla barbarie nazista nel 1943 a soli 29 anni. Riproponendo l’acqua come simbolo divino, scriveva: «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più spesso è coperta di pietra e di sabbia: allora Dio è sepolto, bisogna dissotterrarlo di nuovo».

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